Era alto, di complessione
forte e gentile, aveva faccia di Nazareno, talvolta
sdegnosa, per lo più mite;
guardava
superbamente gli uomini ignoti per paura che gli fossero
avversari, ma con gli amici il suo sorriso buono si
apriva alla confidenza, e sempre, sempre, io lo vidi
ricercare il cielo mormorando versi di Heine, o di
Shakespeare, o di Byron. ...Le donne egli le amava
soltanto; troppo le amava, e perciò non poteva trovarsi
bene nella compagnia di molte insieme. Una gli bastava,
e a quell'una imprestava per un'ora, per un giorno o per
un anno, tutta la sua tenerezza, tutta la sua idealità
d'artista.
(Salvatore Farina, Care ombre, La mia
giornata, S.T.E.N.Torino, 1913)
Un aspetto di re merovingio
avea, invece, un chiomato romanziere, al quale Clara
Maffei inviava, spesso, in segno di ammirazione, qual
saluto mattutino, de' fiori. Egli, al pari del Tommaseo,sorgeva
a difensore della donna: qualche critico oggi lo
chiamerebbe un " féministe". Era il romantico Iginio Ugo
Tarchetti, d'Alessandria, nato nel 1841; il quale
proclamava al pari d'un altro sconfidato ingegno, Carlo
Bini: "La virtù del sacrificio e dell'amore non ha
limiti nel cuore della donna" non pensando quante donne,
specialmente le mal maritate, sono la rovina di giovani
onesti e d'oneste famiglie: ma quante altre sventurate
(è vero) sono spinte al male da noi!
Il Tarchetti era tempra d'alto scrittore; eppure dovette
piegarsi alle attribuzioni di umile scrivano presso
un'amministrazione militare. Lasciate l'aspre pastoje,
si librò alle proprie geniali inclinazioni, lottando
ancora col bisogno; corona di spine, più sicura della
corona di lauro. L'anima sua era byroniana. Il dubbio la
tormentava; ma aspirava a credere: "Avvi una sventura
(egli diceva) che è superiore a tutte le altre, che
sfugge a qualunque manifestazione di parole, e si eleva
al disopra della stessa disperazione ; fredda, severa,
impassibile, quasi feroce nella sua calma; ed è il
dubbio, il dubbio tremendo di se stesso. Quando si ha
sacrificato tutta l'esistenza ad un solo principio;
quando ci siamo composti con una sequela interminabile
di dolori questo fragile edificio, ch'è il
soddisfacimento e la stima di noi medesimi, allora viene
spesso a collocarsi fra noi e le nostre opere una
terribile convinzione: la convinzione della loro vanità,
dell'inutilità e del ridicolo dei nostri sforzi. Allora
vediamo come la coscienza si faccia giucco di noi e
tutto ci si spezzi fra le mani, come i balocchi dei
fanciulli,,. In questa confessione, v'è tutto il
Tarchetti; un ammalato morale al pari di tanti del tempo
suo, una specie di Manfredo. Il racconto L'innamorato
della montagna riflette lo spirito suo, anelante
anch'esso alle altezze. L'espressione del giovane volto
aveva qualche cosa d'ispirato e d'augusto agli occhi di
fanciulle bellissime e bruttissime, che s'innamorarono
di lui. Qualcuna, orrenda, lo perseguitò a lungo colle
furie d'una bruente passione morbosa. Il Tarchetti ebbe
un giorno un'idea: per fuggire quella spaventevole
disgraziata ragazza: si recò a Parma, e fece incollare
sulle cantonate della città un avviso col quale egli si
proponeva alle famiglie qual professore di conversazione
inglese. Come mai era sorta quell' idea, a lui che,
allora, non conosceva neppur una sillaba
d'inglese?...Trovò un cliente, una sola; una signora
attempata, che portava un cognome inglese, e sapeva
benissimo l'inglese appreso dal marito; ma desiderava di
riparlare, dopo tanti anni, la lingua dei suoi poeti
favoriti. Quella signora mandò un biglietto d'invito al
Tarchetti, che si presentò tosto a lei. Ella era...Indegarda
Manin, sorella di Daniele, moglie all'inglese
Meryweather, l'eroina dell'Edmenegarda del Prati, che
abbiamo trovato a proposito di questo grande lirico,
nell'ottavo capitolo. Dopo burrascose peripezie,
Ildegarda era stata confinata in esilio là a Parma,
sperando che gli angioletti del Correggio le ispirassero
qualche celeste pensiero.
... Non sapete l'inglese?... ella gli disse. Ebbene, ve
lo insegnerò io. — E glielo insegnò. Così da maestro da
burla, Iginio Tarchetti divenne uno scolaro sul serio, e
imparò bene quella lingua, da colei che era rimasta
presa da simpatia per il pallido ben chiomato giovine
sognante, senza tetto e senza meta.
Clara Maffei, indulgente, perdonò al Tarchetti quanto
scrisse contro la vita militare, nella quale ella
vantava a buon diritto prodi amici. Ella avrebbe voluto
che quel giovane non fantasticasse troppo, ma ne
ammirava i pregi.
Quando, nel 25 marzo 1869, egli morì di tifo, non ancora
trentenne, la contessa segui la bara, esprimendo a tutti
il proprio acerbo dolore nel vedere uccise con lui tante
sperarne. Al domani de' funerali, un altro romanziere,
l'intimo amico del Tarchetti, Salvatore Farina, si recò
commosso a ringraziare la contessa del tributo reso al
povero giovane: ma ella non volle ringraziamenti...
(Raffaello Barbiera, Il
salotto della contessa Maffei, Treves, Milano 1925,
cap. XX)
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