Gli artigli di Praga

Paolo Pianigiani
Come la corte dei miracoli dell’imperatore Rodolfo si apre al rinascimento
(9.02.2005)

Praga, se la sai ascoltare, ti apre le sue strade, i suoi infiniti ricordi, il pulsare ansioso della sua vita. Ti prende, Praga, e ti inchioda nel suo mistero. Ti trattiene con i suoi artigli e una parte di te rimane per sempre qui, impigliata fra le vie tortuose e strette di Malá Strana o fra gli automi meccanici della Torre dell’Orologio. Ed è la parte migliore di te che rimane, quella che ami di più, quella delle tue emozioni. Già, gli artigli di Praga... quelli di cui parlava Franz Kafka in una lettera al suo amico Oskar Pollak, scritta nel 1902: Praga non molla... questa mammina ha gli artigli.

 

Cammeo di Ottavio Miseroni - 37.7 Kb

 

Cammeo di Ottavio Miseroni

Fra le sue strade di labirinto respiri i suoi ricordi, ti sembra di ascoltare una vecchia signora ciarliera in vena di confidenze. Ha già dimenticato il recente oltraggio che il suo fiume, la Moldava, gli ha regalato, anche se da qualche parte, dove non arrivano i turisti, le case stanno ancora crollando. Come non pensare alla nostra Firenze, subito risorta nel ’66. Quasi a sorridere, ancora la casa che danza, davanti al grande fiume, fa un giro di valzer. L’ha immaginata lo stesso architetto che ha creato il museo Guggenheim a Bilbao, Frank Gehry, insieme a un altro architetto sognatore, Milunic.Qui, in un vecchio bar dimenticato in una via qualunque di Malá Strana, inizio questo articolo, che vuol essere un omaggio a un personaggio che a Praga ha vissuto come sovrano e come recluso, prigioniero di tutte le sue manie. Rodolfo era ancora un bambino, quando fu mandato ad educarsi in Spagna, presso Filippo II, nel tetro castello dell’Escorial, strutturato come una graticola, in omaggio al martirio di san Lorenzo.
Poteva avere una vita serena un bambino cresciuto fra quelle scure stanze? Con il sottofondo di canti gregoriani e pratiche religiose a non finire... in balia dei gesuiti (appena patentati nel 1540), che probabilmente già vedevano in lui il futuro potente da influenzare. Nel 1576 diventa Imperatore, succedendo al padre, Massimiliano II.

Nel 1583 trasferisce la residenza e la capitale dell’Impero a Praga, insediandosi fra le splendide sale del Castello, a Hradcany. Colto, in grado di parlare parecchie lingue compreso il ceco, Rodolfo si circonda di artisti e scienziati, ciarlatani e avventurieri, dando vita a una delle corti più fantastiche e variopinte mai concepite dalla mente di un sovrano. Una corte dei miracoli.
Ugualmente appassionato di arte e di alchimia, orologiaio a tempo perso e curioso di tutto, cominciò a raccogliere tutto quello che poteva interessarlo, accatastando migliaia e migliaia di pezzi più o meno rari nelle innumerabili sale del Castello.
Il suo sancta santorum era la camera delle meraviglie, la celeberrima Kunstkammer, che il geloso imperatore apriva solo ai pochi sovrani che arrivavano in visita o ai suoi più stretti collaboratori; oltre che, naturalmente, agli artisti di corte, perché ne avessero influssi e ispirazione. Il custode fidato era l’italiano Jacopo Strada, un vecchio antiquario, quasi di famiglia, visto che la sua bella figlia Katerina per molti anni fu l’ amante ufficiale di Rodolfo; gli darà anche sei figli, assolutamente illegittimi, visto che un oroscopo gli aveva predetto che sarebbe stato detronizzato da un figlio legittimo.

Ugualmente appassionato di arte e di alchimia, orologiaio a tempo perso e curioso di tutto, cominciò a raccogliere tutto quello che poteva interessarlo, accatastando migliaia e migliaia di pezzi più o meno rari nelle innumerabili sale del Castello.
Il suo sancta santorum era la camera delle meraviglie, la celeberrima Kunstkammer, che il geloso imperatore apriva solo ai pochi sovrani che arrivavano in visita o ai suoi più stretti collaboratori; oltre che, naturalmente, agli artisti di corte, perché ne avessero influssi e ispirazione. Il custode fidato era l’italiano Jacopo Strada, un vecchio antiquario, quasi di famiglia, visto che la sua bella figlia Katerina per molti anni fu l’ amante ufficiale di Rodolfo; gli darà anche sei figli, assolutamente illegittimi, visto che un oroscopo gli aveva predetto che sarebbe stato detronizzato da un figlio legittimo.
Provo a ricordare cosa c’era in questo bazar, raccolto e custodito gelosamente per tutta la vita. Due bulloni dell’arca di Noè, uova di struzzo, piume di colibrì, calici fatti da corno di rinoceronte, che facevano ribollire il contenuto qualora vi fosse aggiunto veleno, pitture giapponesi, pietre più o meno preziose, cammei lavorati, un pò di terra presa dallo stesso luogo dove Dio aveva raccolto quella utilizzata per modellare Adamo, un dente di narvalo, spacciato per il corno talismano d’amore del leggendario unicorno, denti di squalo, un coltello inghiottito da un contadino e riportato alla luce dopo nove mesi dal medico barbiere mastro Florian nel 1602, radici di mandragora nate sotto i patiboli e via di questo passo.
Il tutto disposto su tavoli e scrigni, armadi e vetrine polverose. E tutto era impreziosito, portato alla sua perfezione dagli orafi di corte, numerosi come cavallette, che montavano in oro pietre preziose e unghie di leopardo, con la stessa perizia, per la gioia di Rodolfo. Uno spazio a parte avevano gli orologi, assemblati su figure mitologiche, e i piccoli congegni meccanici che riproducevano suoni e scenette in movimento.
E naturalmente gli strumenti di misura del tempo, le sfere armillari, gli astrolabi, i cannocchiali, che artigiani specializzati appositamente assunti, costruivano a corte, solo per il suo piacere. Ma c’erano anche opere d’arte importanti, come il quadro Das Rosenkranzfest di Dürer, fatto acquistare a Venezia e trasportato a braccia attraverso le Alpi da quattro portatori, par paura che si rovinasse. O il famoso Ilioneo attribuito a Prassitele, che costò alle casse imperiali 10.000 ducati.
Da qualche parte, si mormora, Rodolfo conservava la polvere con cui era stato costruito il mitico Golem, messo insieme dal rabbino Löw perché lo aiutasse a suonare le campane e a tenere ordine in cucina. O, come dicono altri, perché difendesse con la sua forza sovrumana il ghetto dalla malvagità dei cristiani. Che era, credibilissimo a dirsi, tanta.
Verità e leggenda si incontrano, come si incontrarono, forse, Rodolfo e il rabbino, che fermò con formule magiche i cavalli della carrozza del sovrano, nel bel mezzo del ponte Carlo e ottenne che non fosse firmato il decreto di espulsione per gli ebrei, già pronto alla firma sulla scrivania regale.
Astronomo e astrologo di corte, il confine fra le due arti quasi non esisteva, era Tycho Brahe, attirato da Rodolfo a Praga nel 1599, sottratto con chissà quali promesse all’ osservatorio astronomico che lo studioso si era costruito nell’isoletta di Hveen, regalatagli dal re danese Federico II.
Tycho doveva essere un personaggio straordinario, oltre che sapientissimo di pianeti e costellazioni aveva una caratteristica che doveva incantare Rodolfo: il suo naso era ricostruito in oro, avendo perso l’originale in un duello in gioventù.
Assistente di Tycho fu Keplero, che sfruttò le osservazioni del maestro e gli strumenti disponibili a corte, per mettere a punto le sue tre leggi, sulle quali si sorreggeva, prima che arrivasse Einstein a guastare tutto, il nostro universo. Chissà cosa pensava di lui, incontrandolo, l’Arcimboldo, pittore di corte, che già dal 1562 era stato al servizio dei due sovrani asburgici Ferdinando I e Massimiliano II, a Vienna, e che aveva seguito il nuovo imperatore a Praga.
Nato a Milano nel 1527, dopo un inizio tradizionale, normalissimi sono i suoi cartoni per le vetrate del duomo di Milano, gli arazzi per quello di Como e gli affreschi per quello di Monza, improvvisamente manifestò una capacità e un interesse per l’assemblaggio di figure naturalistiche volte alla definizione di ritratti e allegorie, che trovarono certamente alla corte asburgica e in particolare in Rodolfo, estimatori entusiasti.
Come Leonardo per Ludovico il Moro a Milano, l’Arcimboldi fu maestro di cerimonie, si direbbe oggi responsabile dell’immagine: disegnatore di costumi, regista di feste a corte, e organizzatore di regali matrimoni nella cattedrale di san Vito. Lasciato libero di tornare nella sua Milano, in tarda età, nel 1587, continuerà a inviare al sovrano rarità e stranezze, per arricchire il fantastico tesoro imperiale.
Ma il dono più bello sarà il ritratto dell’imperatore come Vertumno, che il pittore italiano invierà a Praga poco prima di morire nel 1591. Un altro milanese che qui trovò fortuna fu Ottavio Miseroni, abilissimo nell’arte di creare calici di cristallo con scultura incorporata e bravissimo anche ad intagliare cammei.
Altri artisti affluirono alla corte di Rodolfo, formando quella scuola di Praga che si confronterà con la di poco antecedente scuola di Fontainebleau, fiorita grazie soprattutto ad artisti italiani come il Primaticcio o il Rosso Fiorentino.
Artisti che si erano specializzati in Italia, come Bartolomeo Spranger e Hans von Aaken giunsero a Praga, e, insieme a Roelandt Savory, Matthias Gundelach e Paolus van Vianen (specialisti di paesaggio), lavorarono a tempo pieno per la quadreria di corte, sfornando opere originali e raffinate, splendidamente venate di un manierismo prezioso ed erotico.
Furono anche commissionate, alla bisogna, copie di quelle opere che i messi imperiali non riuscivano a comprare. A un pittore svizzero, Josef Heintz, il sovrano affidò, fra l’altro, un compito particolare, quello di ritrarre principesse e nobildonne nelle varie città dell’impero, ad uso probabile del suo futuro interessamento scopo matrimonio. Lavoro inutile, come sappiamo, a causa di un oroscopo, Rodolfo, sospettoso e superstizioso com’era, non si sposerà mai.
Con la stessa mania e assoluta dedizione, (spendeva cifre folli anche per un sovrano), con le quali faceva incetta sia di oggetti strani che di opere d’arte, ugualmente l’interesse di Rodolfo era rivolto verso la natura e le arti che permettevano di dominarla e piegarla: l’alchimia e la magia. Praga diventò improvvisamente meta ambita per avventurieri, sedicenti maghi e occultisti, tutti attirati dalla prodigalità e dalle promesse del sovrano.
Come argine a questa piena Rodolfo nominò un controllore, che aveva il compito di selezionare solo gli alchimisti che risultassero effettivamente in grado di trovargli la Pietra Filosofale, di far avvenire, dentro i matracci imperiali, la Grande Opera. Taddeo Hagecio era questo personaggio, che veniva però facilmente truffato, con trucchi da prestigiatori che i candidati provenienti da mezza Europa, erano bravissimi ad eseguire: bastava usare un’ampolla munita di sottofondo in cera scura, che nascondeva polvere d’oro, e far bollire la mistura alchemica, per far comparire qualche pezzettino d’oro e avere l’imprimatur ed essere assunti in forza alla schiera degli alchimisti.
Ma la farina del diavolo non diventa mai pane, e spesso i falsi cercatori d’oro finivano rinchiusi nelle tetre celle della Torre Bianca, che si erge ancora oggi, sopra la via degli alchimisti. Rodolfo era instabile come il suo carattere e spesso cedeva a scatti improvvisi d’ira verso chi lo deludeva: ed erano dolori!
Questa stradina, nella tradizione delle guide di Praga, è detta ancora oggi Zlatá Ulicka, la via dell’oro. O, più direttamente, degli alchimisti. Qui, si racconta ai turisti, Rodolfo teneva segregati i suoi alchimisti, chiusi nello loro minuscole officine piene di vapori e di alambicchi.
In una di queste casupole, in epoca a noi più vicina, trovò rifugio Kafka, che per venti corone al mese, a partire dal novembre del 1916 vi ebbe uno studio: scrisse qui racconti meravigliosi, come Il cacciatore Gracco e Una relazione per l’Accademia. Ci compose anche Il messaggio dell’Imperatore, chissà se pensando a Rodolfo o a Francesco Giuseppe, che da poco era scomparso. O magari a nessuno dei due: di certo è stata la sola trasmutazione che in quella via si sia effettivamente compiuta, da parole mercuriali Franz Kafka ha distillato pura letteratura, d’oro zecchino.
Ma vediamo da vicino gli alchimisti, incontriamo qualcuno dei più celebri. Nel 1584 ne arrivarono due insieme, a coppia come i carabinieri, dall’Inghilterra, annunciati da chiara fama alchemica: John Dee ed Eduard Kelley, il primo specializzato a dialogare con gli spiriti e astrologo personale della regina Elisabetta, il secondo in odore solfureo di negromanzia, marchiato dalla lama del boia nella città di Lancaster con il taglio delle orecchie, per aver falsificato documenti notarili. Per nascondere l’onta si era fatto crescere lunghi capelli. Passato al volo l’ "esame finestra" di Taddeo Hagecio, con chissà quale gioco di prestigio, si installarono a Praga e vi ebbero diversa fortuna.
Il più quotato Dee fu subito avversato da ingerenze cattoliche apostoliche e romane, che vedevano nel mago inglese la longa mano di Elisabetta regina protestante, e presto (nel 1586) fu bandito dal regno boemo. Poco male per lui, che trovò subito accoglienza (tenuta segretissima) presso la città di Krumlov, alla corte di un altro potente altrettanto amante di alambicchi et similia, Vilém Rožmberk, per la gioia del quale a lungo distillò vapori e liquidi a base di mercurio.
A Rožmberk, per darvi un’idea del personaggio, successe la stessa cosa che capitò a Pinocchio: un mago lo convinse a seminare monete d’oro (un’ottantina) nel suo giardino e nottetempo, mentre il credulissimo signore sognava piantine cariche d’oro, recuperò il conquibus e se la dette a gambe. Chissà se questa storia sarà arrivata dalle nostre parti, e finita fra le carte divertite del nostro Collodi. Chissà. L’altro, il più abile e malversatore Kelly, si insediò a corte e tenne per lungo tempo dimora in Praga.
Addirittura Rodolfo lo dotò di titoli nobiliari, oltre che di notevoli somme di denaro; con queste e con la dote della moglie, una ricca boema, il mago divenne imprenditore e acquistò una birreria, oltre che a numerose case, fra le quali, ci racconta la tradizione, anche quella appartenuta al dottor Faust, che era arrivato a Praga, in altri tempi, in groppa al suo diavolo personale Mefistofele. Le fortune di Kelly si arrestarono però nel 1591, quando uccise in duello un cortigiano; su queste cose Rodolfo non scherzava e trovò l’occasione per liberarsi di chi ancora non gli aveva trovato il mezzo di fabbricare l’oro. Lo fece imprigionare e Kelly morirà suicida, comunque sempre assistito e difeso, infinita è la bontà delle donne, dalla moglie Johanna, dopo aver invano tentato di evadere.
Andando in là con gli anni l’Imperatore diventò sempre più introverso e intrattabile, sempre più incupito dalle sue manie a dalle sue ombre. Nel 1607 affiderà al fratello Mattia una parte dei suoi poteri, quasi una abdicazione. Nel gennaio del 1612 Rodolfo morirà, lasciando incostudite tutte le sue collezioni. Il fratello, subentrato a pieno titolo nel ruolo, alla prima occasione riportò la sede imperiale a Vienna, abbandonando al loro destino le collezioni rudolfine.
Dopo Rodolfo, per Praga cominciò un lungo periodo di decadenza: nel corso della guerra dei Trent’anni a più riprese il Castello fu depredato e le collezioni, raccolte con tanto amore, furono disperse.Il colpo di grazia fu dato dalle milizie svedesi il 26 luglio del 1648, che fecero man bassa di tutto quello che era rimasto, riportando in patria, per la gioia della regina Cristina, un’altra fanatica collezionista, tutto quanto fu possibile depredare e trasportare, in particolare la quadreria, quasi al completo.
Ogni tanto qualche oggetto, una tela o un manufatto prezioso, appartenuto al grande sovrano, riappare, come un fantasma, in mostre ed esposizioni, ancora ai nostri giorni. Come nella recente mostra di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, che ha visto una ricca sezione dedicata alla cultura rudolfina a Praga. Qui è stato esposta anche un’opera celeberrima che Rodolfo acquistò nel 1605, l’Amore che fabbrica l’arco. Come ci racconta il Vasari, che era un gran chiacchierone, anche l’estroso pittore di Parma si perse, sul finire della sua breve vita, dietro alle ricerche alchemiche, trascurando incarichi e commesse importanti.
Che incontro meraviglioso sarebbe stato, se i tempi e le circostanze lo avessero permesso, quello fra questi due grandi rappresentanti della loro epoca, l’artista che più di altri ha incarnato gli stimoli infiniti del manierismo e l’imperatore di Praga, curiosi entrambi di alambicchi e di ricerche impossibili.
Ma la sorte non lo ha permesso, il Parmigianino morirà nel 1540, dopo aver invano cercato fortuna presso i potenti (Clemente VII Medici e Carlo V d’Asburgo), mentre Rodolfo nascerà solo 12 anni più tardi, nel 1552. La stessa sorte maligna toccò al quadro che, appena scomparso Rodolfo, cambierà attribuzione e risulterà negli archivi delle collezioni imperiali di mano di Antonio Allegri, detto il Correggio, che del Parmigianino fu conterraneo e rivale. Finché nel 1837 fu fatta giustizia e la tavola tornò a chi l’aveva dipinta.
Fra le sale della mostra del Parmigianino, a Parma, si chiude il mio viaggio. Sarebbe piaciuta, a Rodolfo, questa esposizione: avrebbe certamente voluto comprare tutto, a costo di indebitarsi, per portarsi ogni cosa nelle sue sale, nel suo Castello, a Hradcany, in Praga.

Prima pubblicazione: settembre 2003

 

 

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