Paolo Pianigiani

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Paolo Pianigiani nasce e cresce artisticamente tra informali, astratti e concettuali e lo testimoniano i suoi scritti d’arte, come quelli su Luigi Boni e su Pietro Dorazio, ma integra queste lezioni e la cifra della sua opera non è decifrabile tornando (operazione per altro impossibile) alle sue sorgenti. Il ri-nascimento è la seconda nascita di cui ci parlano i miti greci e quelli moderni, tra i più recenti quelli inventati da Armando Verdiglione e da Giuseppe Pontiggia. Ecco, le opere di Paolo Pianigiani ciascuna volta rinascono originarie, fonti inesauribili, ben oltre la funzione di decoro per il tempo di una stagione, partecipando alla celebrazione della vita, non della morte, come si può trarre dalla lezione di Felice Naalin.

 

Nelle opere di Paolo Pianigiani risalta il colore come distinzione delle cose. Non la monocromia o l’acromia, ma il colore come moneta della vita. Colore che procede dallo sfumato, come ironia aperta. Colore che nella sua instaurazione vanifica l’algebra e la geometria del cromatismo. Questa è la lezione in atto: colore quale condizione dell’itinerario, senza più cromatismo. Né monocromatismi né acromatismi né policromatismi.

Giancarlo Calciolari, direttore di "Transfinito"

 

Riccioli di fibra di vetro si ritagliano un loro rettangolo su tele monocrome. Il risultato è un raffinato gioco chiaroscurale, leggibile in tutta la sua eleganza con una luce radente. Effetto che ricorda il bianco Castellani, ma meno regolare e ritmato. Paolo Pianigiani è alle prese con una ricerca infinita di perfezione geometrica e formale, concentrata su opere quasi seriali, ripetute con variazioni minime. Il suo punto di partenza è Piero Manzoni. Il Piero Manzoni degli Achromes, (1957- 58). Ma se l'artista cremonese abbandonava i suoi effetti al caso, Pianigiani allontana con consapevolezza questa componente. Calcola accuratamente i rapporti matematici tra le parti di ogni sua tela: le aree increspate dalle onde di fiberglass e quelle lasciate piane sono in sezione aurea. E' una conquista passata attraverso i primi esperimenti del 1974, in cui i ricci radi si disponevano in un rombo ampio di toni screziati di rosa; o, successivamente, invadevano tutta la superficie del dipinto monocromo.
Il lavoro di Paolo Pianigiani è dunque fondato sulla lunga ricerca di un assoluto matematico da trasporre sulla tela. Ma si traduce, di fatto, in un paziente lavoro manuale. Per ottenere l'effetto brulicante che riempie i rettangoli interni delle sue opere, è necessario armarsi di pinzette e colla, modellare e fissare ad uno ad uno i segmenti di fibra di vetro sul supporto. Una cura artigianale ben lontana dalla maniera di Manzoni.

Silvia Bottinelli, critico d’arte, collaboratrice di "Exibart". Bergamo.

 

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Paolo Pianigiani, "Labirinto rosa", 1974

 

 

Paolo Pianigiani, "Pittura", 1999,

tempera su carta, cm 33x25

 

Paolo Pianigiani, Senza Titolo,

 tecnica mista

 

 

Paolo Pianigiani, "Rosso fuoco",

 tecnica mista, 2004

 

 

Paolo Pianigiani, "Foglio di taccuino", 2004

 

Paolo Pianigiani, "Labirinto rosa"

 

 

 

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