Francesca Santucci

 La figlia adottiva

edizioni A.L.I. Penna d'Autore,
 gennaio 2005
   Pagine: 139
   Prezzo: 10,00 euro

 

 

Cchiù spisso era na mamma ca purtava

dint' ‘o sciallo, quaccosa arravugliata:

na criatura. E, doppo na guardata

sott'uocchio, dint' 'a rota la pusava...1

(Ferdinando Russo)

Donna Nannina 'a corta, all'anagrafe di Napoli Anna  Capecelatro, non era mai stata, né da bambina  né da ragazza, quella che si definisce una bellezza, probabilmente proprio per quella particolarità fisica che le aveva procurato il soprannome.
Come se non bastasse, o forse appunto in conseguenza di ciò, non aveva un carattere facile, anzi, a dirla tutta, lo aveva decisamente difficile.
Fu per questi motivi che tutta la popolazione del Lavinaro2 si meravigliò molto quando, a ventun’anni, in piena guerra, sposò il rispettabile brigadiere dei carabinieri Giuseppe  Russo, nativo dell'Arenaccia ed ivi residente, uomo alto, robusto e decisamente prestante, chiamato anche don Peppino 'o pittore perché si dilettava con la pittura, dipingendo piatti di ceramica che poi decorava incollandovi gusci di cozze, vongole e crostacei  rivenduti da un amico sul lungomare di Napoli.
Certo non costituivano una coppia precisamente bella a vedersi, lui atletico e simpatico, lei piccola e antipatica, perciò era naturale che, quando andavano a passeggio, sucitassero l'ilarità  dei passanti, specialmente dei bambini che, sinceri e spontanei come sono alla loro età, non lesinavano battute del tipo: ’o palatone e  a  'jonda, 3 'o luongo e 'a corta,  'o punto e 'a virgola, mentre gli adulti, con maggiore discrezione, commentavano sottovoce.
La situazione non migliorò quando, dopo un anno di matrimonio, a donna Nannina non crebbe la pancia, e peggiorò decisamente quando la cosa continuò a non verificarsi nemmeno negli anni successivi.
Nel quartiere si congetturava e ben presto si crearono due fazioni, quella che affermava "E' essa che è troppo corta !" e quella che sosteneva " E' isso ca nun 'è buono !"4
Finalmente il mistero fu svelato dalla donna stessa che, in un momento di sconforto, confidò ad una vicina di non poter avere figli da quando le era stato asportato un brutto fibroma.
La confidente, prontamente, le suggerì di adottare  "n'anema ' e Ddio "5 dalla Nunziata 6 di Napoli.
Marito e moglie ne parlarono, esitarono, si consigliarono con i parenti, infine decisero.
E così una mattina, l'uno sotto al braccio dell'altro, i coniugi Russo fecero il loro comico ingresso nella famosa  "Annunziata", l'ingrato orfanotrofio della città, l'infelice luogo che accoglieva i figli di nessuno, i celebri n.n., gli Esposito7 dei quali semper certa non era  neppure la madre perché la sciagurata genitrice abbandonava il neonato subito dopo la nascita, ecco perché figli di nessuno.
Quel giorno, dunque, Anna Capecelatro e Giuseppe Russo adottarono  una figlia della Madonna,  una bella bambina, o che almeno bella sembrò ai loro occhi desiderosi di diventare genitori, e la chiamarono Immacolata Concezione.
Fu felice l’infanzia di Immacolata, adorata dal padre, che la portava in giro e la sbandierava come un trofeo, coccolata dalla madre, che la considerava come una specie di vittoria sulla sua sterilità, benvoluta dalla famiglia e da tutto il  quartiere,  perché aveva riportato la serenità in casa  Russo,   e trattata  molto amabilmente dal parroco della chiesa di Sant'Alfonso Maria De' Liguori, che non mancava mai di avere verso di lei un occhio di riguardo.
Donna Nannina per Immacolata stravedeva, non la chiamava mai per nome, ma sempre e solo pupella mia,8 l'addobbava come  una bambola, la infiocchettava  con nastri  di raso e di seta, le adornava  i bei capelli ricci con delicati fiorellini di organza, la vestiva con abiti di seta rosa confetto arricchiti di balze merlettate, le faceva calzare  scarpine di morbida pelle bianca con calzini in tinta impreziositi dai  ricami delle  suore della zona, e ne era talmente orgogliosa  che, quando la portava in giro, tenendole  ben stretta la manina  inguainata  nel  mezzo guanto di merletto anch'esso bianco, in quel fulgore di  abbagliante candore, come per miracolo spariva anche il suo difetto di natura  ed  allora  sembrava  ergersi  bella, alta e maestosa accanto alla piccola figlia adottiva.
Poi gli anni trascorsero e nella bambina mutarono e si evidenziarono sempre più i tratti somatici e le caratteristiche del temperamento…                                                                                           

***

Ora  Immacolata  era scura di pelle, molto più alta del padre adottivo, che pure era alto, con i capelli crespi  del colore dell'ebano, e la gente del quartiere insinuava che fosse figlia di un black, uno di quei  neri  arruolati nell'esercito americano nel periodo della Liberazione, che si chiamavano Sam, Jack e Jimmy, che avevano i capelli ricci,  le facce lucide, gli sguardi imbambolati,  le scarpe gialle ai piedi, che masticavano continuamente chewing-gum, ballavano il boogie-boogie ed erano così generosi di zucchero, farina, bacon, cioccolata, sigarette, indumenti e coperte con le famiglie delle donne napoletane, alle quali s’accompagnavano in cerca di un po’ d’amore fra gli orrori della guerra e le miserie della città occupata.
Quando la giovane, fiera ed orgogliosa, serviva al bancone o ai tavoli del bar, che donna Nannina sua madre aveva aperto con la buonuscita del marito dall'Arma (adesso, infatti, l'uomo si dedicava solo all'arte del pennello), udiva le allusioni maligne sulle sue origini, ma non rispondeva, fingendo di non aver sentito.
E fingeva anche di non vedere lo sguardo di disapprovazione della madre adottiva allorché si sedeva per una breve pausa, con la sigaretta tra le labbra, le lunghe cosce spalancate, i seni grandi e morbidi evidenziati da un'ampia  scollatura, la bocca larga e carnosa che, aperta al sorriso, lasciava trasparire denti bianchissimi, sfrontatamente socchiusa faceva fuoriuscire enormi bolle di chewing-gum dalla forma straordinariamente sferica.
Immacolata si sposò due volte, la seconda con l'uomo che, dicevano, fosse stato il suo amante quando il primo marito era  ancora in vita  e dal quale aveva avuto due maschi e due femmine, suscitando la rabbia della madre adottiva che, come tutti sapevano, non aveva potuto avere figli suoi.
Ben presto morì anche il secondo marito, un uomo ricco, grasso e brutto (invece il primo era stato povero, snello e bello, ma talmente bello da meritarsi il soprannome di "Rodolfo Valentino").
La  gente del quartiere, che non badava mai agli affari propri, insinuò che la donna lo avesse avvelenato con la candeggina per impossessarsi dei suoi beni e  perché   già  aveva in caldo un altro uomo. In effetti Immacolata ereditò appartamenti, soldi e  gioielli, però portò il lutto per due anni e non si risposò più.
La madre, che non si era mai perdonata la propria sterilità, e la sfortuna di aver avuto in adozione  non una figlia docile, sottomessa e chiara di pelle, ma una donna fiera, orgogliosa e fertile, che non le somigliava nemmeno un po' e che chissà con che razza di nero era stata concepita, insospettita dalle chiacchiere del quartiere riguardo all'avvelenamento le colse come pretesto per toglierle il saluto, e così fece il resto della famiglia, eccetto la vecchia nonna Giuseppina Arnone, ancora lucida di mente, che, molto rispettosamente, la chiamava  “donna  ‘Mmaculà”.
La figlia, ripudiata dalla madre adottiva, si ritirò in buon ordine e, quando le due donne   s'incontravano, cosa che succedeva  spesso abitando nello stesso palazzo, la  donna voltava il naso da una parte e la figlia dall'altra. Questo per molti anni.
Un brutto giorno donna Nannina si ammalò e mandò i  vicini  a chiamare Immacolata. La  figlia rispose glaciale che avrebbero anche potuto risparmiarsi il disturbo: non ci sarebbe mai andata.
- E' sempre vostra madre.-
 -Non si è comportata come tale.-
-Potrebbe morire da un momento all'altro.-
-Peggio per lei che ha la coscienza sporca.-
- E' vecchia, vedova e sola.-
-Doveva pensarci prima!-
La donna era stata ferita troppe volte e troppo profondamente, soltanto una santa avrebbe perdonato e lei l'aureola in testa non ce l'aveva. Ma la madre non desistette e la mandò a chiamare altre volte; l'ultima, congiuntamente, chiese anche il prete.

***

Immacolata entrò nella casa natale alle cinque della sera, dondolandosi sui tacchi a spillo e  masticando l'immancabile  gomma americana.
Intorno al letto della madre moribonda c'erano i parenti più stretti, qualche vicino e  don Vincenzo Varriale  che impartiva l'estrema unzione: Ego te absolvo...
Al suo ingresso, in uno scintillante tailleur di lino bianco, che faceva risaltare la bella carnagione olivastra, si levò un brusio sommesso. La madre aprì un occhio, lo richiuse subito e cominciò a lamentarsi, invocando il nome e il perdono della figlia.
Gli sguardi di tutti i presenti si rivolsero verso Immacolata che, furba, prese la mano della vecchia e, stringendola forte, ordinò:
-Parlate più forte, mammà!...Non capisco, parlate più  forte, ché vi sentano tutti.-
-Perdonami!-quasi gridò stizzita la madre che, con quella parola, faceva così pubblica ammenda dei torti verso la figlia.
Immacolata perdonò e, dieci minuti dopo, la moribonda balzò arzilla al centro del letto, chiese una minestrina e pretese che fosse proprio la figlia ad imboccarla, mostrando una guarigione così pronta che fu definita  miracolosa.
Forse donna Nannina non era mai stata prossima alla morte, ma all'inferno sì, tormentata dal rimorso  per il comportamento scorretto avuto nei riguardi della figlia adottiva.
Dal giorno del miracolo le due donne diventarono inseparabili e tutta la famiglia restituì il saluto ad Immacolata.

Francesca Santucci

 

 1) Quasi sempre era una madre che portava,
 nello scialle, qualcosa avvolto: un bambino.
 E, dopo  uno sguardo  furtivo,
  lo adagiava nella ruota.

2) via ripida che da Porta Nolana conduce al Carmine. Anticamente vi scorreva l'acqua di una sorgente, formando una specie di lava.(Il racconto dei racconti, di G. B. Basile, Edizione CDE spa- su licenza dell’Adelphi Edizioni S.p.A. Milano, 1995,  pag. 94).

3) il filone di pane e il pezzo aggiunto per equiparare il peso.

4) non è adatto alla procreazione.

5) un'anima di Dio.

6) antichissimo brefotrofio  fondato  per volere della regina Sancia d’Aragona nel 1318 e affidato alla cura delle monache. Accanto all'ingresso del monastero c'era una ruota girevole ove, col favore delle tenebre, venivano abbandonati i neonati.

7) Questo cognome ( Esposito) è un suggello d’infamia marcato su la intera vita  di un uomo; è una punizione inflittagli per la colpa de’ suoi genitori. Da quanto tempo ai trovatelli in Napoli si appicca, quasi a sempiterno ricordo, l’odioso aggiunto di Esposito? Da quanto tempo questo cognome affratella in una numerosa famiglia tutt’i figli della colpa?...( Francesco Mastriani,  La Medea di Porta Medina, Lucarini editore, 1988, pag. 29).

8) pupilla dei miei occhi, bambolina mia; “pupilla” dal latino “pūpilla”, pure con duplice significato di pupilla degli occhi e bambina tutelata. (Il racconto dei racconti, di G. B. Basile, Edizione CDE spa- su licenza dell’Adelphi Edizioni S.p.A. Milano, 1995, pag. 74).