
CRAS
AMET QUI NUMQUAM AMAVIT: QUIQUE AMAVIT CRAS AMET
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.Ecco la nuova primavera, la
primavera dei canti; di primavera è nato il mondo, di primavera
concordano gli amori, di primavera sposano gli uccelli e la foresta spiega
la sua chioma dalle piogge fecondatrici.Domani la congiungitrice
degli amori tra le ombre degli alberi intreccia verdi capanne con
ramoscelli di mirto. Domani detta Dione le sue leggi dall’altissimo
trono.Ami domani chi non amò mai. Domani ami chi amò.
Essa
di floride gemme dipinge la purpurea stagione, essa i boccioli che
gonfiano al soffio di Zefiro sospinge nelle loro corolle: essa della
lucente rugiada che l’aura notturna depone, diffonde le umili stille.
Ecco
splendono le lacrime tremanti tratte giù dal loro peso: la goccia che sta
per cadere pende inerte nel suo piccolo globo. Ecco le fiorenti porpore
hanno già svelato il pudore. Quell’umore che gli astri stillano nelle
notti serene domani tutte si sposino le vergini rose. Fatta del sangue di
Venere Ciprigna e di baci d’Amore e di gemme e di fiamme e della porpora
del sole, domani il rossore, che si nascondeva sotto l’ignea veste, la
rosa non si vergognerà di sciogliere dall’unico boccio.
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
La
voluttà feconda i campi; i campi sentono Venere. Lo stesso Amore, figlio
di Dione, si dice nato in campagna. Mentre la terra rifioriva, essa lo
accolse al suo seno, essa lo educò coi delicati baci dei fiori.
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
La
stessa dea ordinò alle Ninfe di recarsi nel bosco di mirti; Cupido, suo
figlio, accompagna le fanciulle; tuttavia non si può dire che Amore stia
in riposo visto che porta con sé le frecce.
Andate,
o Ninfe. Ecco che Amore ha deposto le frecce, è in riposo; gli è stato
ingiunto di venire con voi disarmato, gli è stato ingiunto di venire nudo
affinché non posa nuocere a nessuno con l’arco e con le frecce o con la
fiaccola. Tuttavia, o Ninfe, state attente perché Cupido è bello: egli
è tutto in armi anche quando di esse è spoglio.
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
[…
]
Ecco
già sotto alle finestre i tori stendono i loro fianchi_, sicuro ognuno
del nodo coniugale ond’è avvinto. Sotto l’ombra coi mariti ecco i
greggi belanti delle pecore: e pure gli uccelli canori non volle la dea
che tacessero. Già i garruli cigni riempiono gli stagni del loro rauco
strido, all’ombra del pioppo echeggia il canto della fanciulla di Tereo,
sì che tu credi che sensi d’amore ella esprime con la gola armoniosa
anziché lamentare la sorella per il barbaro marito. Lei canta e io
taccio. Quando viene la mia primavera?Quando sarò come la rondine e finirò
di tacere?Ho perduto tacendo il mio canto, e Febo non mi considera più.
Il silenzio perdette così la tacita Amicle.
Ami
domani chi non amò mai: domani ami chi amò.
(
dal Pervigilium Veneris)
Inno
a Venere e all’amore, il Pervigilium Veneris, poemetto tramandato
dall’Anthologia latina, una raccolta di componimenti e collezioni
poetiche del periodo compreso tra il VII e il X secolo, era un inno alla
dea che veniva cantato alla vigilia della festa primaverile di Venere
genitrice, celebrata in Sicilia all’inizio della primavera. Ignoto
è l’autore ma, per l’esaltazione dell’amore, della fecondità e
della fioritura, per le lodi a Venere come potenza fecondatrice della
donna, che tradisce una religione matriarcale poco diffusa nel mondo
romano e, dunque, attribuibile solo ad una concezione femminile, per lo
spirito in generale che permea i versi, molti studiosi ritengono che sia
sicuramente opera di una donna. L’immaginario
mondo descritto é dominato dalla legge dell’amore alla quale soggiace e
partecipa festosamente l’intera natura, eppure nella chiusura del carme,
alla dolcezza e all’abbandono di tutte le creature, continuamente
sottolineato da una specie di refrain che riassume l’attesa gioiosa di
tutto il componimento, si sostituisce un velo di malinconia perché
l’autore non partecipa alla gioia collettiva. L’inno, che si serve di un lessico poetico
apparentemente popolare, ma tradisce la raffinatezza e il preziosismo
della poesia dotta, dei poetae novelli e di Catullo, per la straordinaria
musicalità e per il fascino emanato dalle suggestive, talvolta anche leziose,
immagini può essere considerato un piccolo capolavoro.
Francesca Santucci
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