C’era una volta... c’era una
volta un bambino solitario
che, sotto lo sguardo
amorevole e vigile della
nonna, guardava affascinato
il fuoco, ne ammirava le
lingue allungarsi in forme
strane, danzare e ridanzare
al ritmo di una musica
silenziosa, e tentava di
riprodurre il guizzo delle
rosse fiamme con i neri
tizzoni tolti dal braciere.
Sembra l’incipit di una
fiaba di Andersen, ma è
l’inizio di una storia vera,
del percorso artistico
(iniziato tempo fa, ma che
ancora perdura con intatta
dedizione e purezza), scevro
da fini utilitaristici,
spinto solo dall’urgenza
estetica, di esprimere il
Bello nell’Arte giacché,
la vera arte ed il commercio
sono state e, sempre
saranno, solo in dissonanza
(A. Scotto), del pittore
napoletano Aniello Scotto
che, bambino di sei anni,
già aveva in sé, del vero
artista, lo sguardo
completo, che si posa sulle
“cose” valutandone forme,
linee, volumi, proporzioni,
colori, ma che pure si
spinge oltre la valutazione
oggettiva, captandone la
profonda essenza, insieme
improntandole di sé,
lasciando germinare, in
reciproca trasfusione, le
sue creazioni.
Sostenuto da innata
passione, precoce talento,
sapienza tecnica, acquisita
con regolari disciplinati
studi (Liceo artistico ed
Accademia di Belle Arti a
Napoli, presso la quale
insegna Tecniche
dell’Incisione e di Disegno
Artistico), Aniello Scotto
persegue, attraverso varie
tecniche (olio, sanguigna,
carboncino, incisione), un
figurativo moderno, legato
alla tradizione storico-
artistica della sua antica
città, Napoli, la più
misteriosa città d’Europa...
la sola città del mondo
antico che non sia perita
come Ilio, come Ninive, come
Babilonia... la sola città
del mondo che non è
affondata nell’immane
naufragio della civiltà
antica.... una Pompei che
non è mai stata sepolta.
Non... una città... un
mondo. Il mondo antico,
precristiano, rimasto
intatto alla superficie del
mondo moderno, come
ebbe a descriverla lo
scrittore Curzio Malaparte,
nel romanzo “La pelle“.
Ecco, allora, riaffiorare
dalle nebbie del passato
(nella personale che sarà
inaugurata il 4 maggio 2007,
presso la “Casina Pompeiana”
nella Villa comunale di
Napoli), riemergere, dalle
nere ceneri della distrutta
Pompei, la sua Domitilla
“rossa” di sanguigna, rossa
come il magma che ribolle in
attesa sotto il vulcano
partenopeo, come il sangue
effuso dal Santo martire
della sua città, San
Gennaro, che, due volte
all’anno, non è più una
statua ma un sangue che
scorre; precedentemente,
però, nuova vita aveva
ridato, reinterpretandolo
(in una mostra non a caso
intitolata “Fuori dal
mito”), a Pulcinella, il suo
Pulcinella nero di
carboncino, nero come la
maschera che da secoli
indossa, ammiccante e
drammatico, che insieme ride
e piange, beffato e
beffatore, pronto nel lazzo,
goffo in amore.
Aniello Scotto attua il
gesto creativo con uno stile
personale da cui trapelano
ispirazione autentica e
grande tensione interiore,
che rendono le sue opere
sempre vere, vive e
pulsanti, in espressioni
cromatiche strettamente
legate al linguaggio del più
sano vitale realismo: il
rosso e il nero.
L’anima greca e l’anima
latina, il dramma e la
farsa, la riflessione e lo
stupore, il pianto e il
riso, il volto e la
maschera, l’ombra e la luce,
il candore e la passione,
felicemente convivono nelle
sue opere profondamente
ispirate, in cui autentico
pulsa l’antico cuore
partenopeo.
Impossibile, dunque, non
restare ammaliati dalla sua
pittura, legata, pur nella
modernità, alla più nobile
tradizione artistica (non a
caso sua grande passione è
Caravaggio, stupendo
coordinatore di luci ed
ombre, che tanto di sé ha
improntato l’arte e di cui
ancora riverberano gli
influssi), insieme mite e
sanguigna, amara e giocosa,
magica alchimia di rosso e
nero, di passione e
sentimento, che spontanea
sgorga ed onora il nostro
glorioso passato artistico,
lontana dalle moderne
stranezze, concettuose,
pretestuose, fredde, spesso
insignificanti,
raggiungendo, in compiuta
sintesi fra segno e colore,
livelli di rara e suggestiva
bellezza estetica.
Francesca Santucci |