Virginia Woolf

(1882-1941)

                        

 

Nel secolo (il Novecento) in cui con la letteratura più intenso divenne il rapporto delle donne, convertitesi da semplici fruitrici ed occasionali autrici a protagoniste della vita letteraria, in piena parità di valore col corrispettivo mondo maschile, Virginia  Woolf, autrice di romanzi, saggi, racconti, attraversò in profondità le problematiche della condizione femminile borghese, costituendo la sua opera un essenziale punto di riferimento per le scrittrici che rifiutavano di adeguarsi ai dominanti modelli maschili e cercavano di elaborare una forma autonoma di scrittura.
Travagliata fu la sua esistenza, funestata dalla perdita di persone molto care, da crisi depressive e tentati suicidi, ma anche costellata di soddisfazioni letterarie.
Nacque a Londra  il 25 gennaio 1882, da genitori entrambi reduci da esperienze matrimoniali.
Julia Prinsep, sua madre, era donna bellissima e colta; vedova, dalla precedente unione con Herbert Duckworth,  aveva avuto  tre figli, George, Gerald e Stella, dal secondo matrimonio ebbe Virginia, Vanessa (con la quale molto stretto fu il legame di Virginia), Thoby ed Adrian.
Leslie Stephen, suo padre, storiografo e critico, pure vedovo, dal primo matrimonio aveva avuto una figlia mentalmente ritardata, Laura.
Virginia fu educata in casa dai genitori, secondo la tradizione vittoriana.
I primi grandi dolori della sua vita furono la morte della madre e, successivamente, della sorellastra Stella, che le provocarono  profondi attacchi d’insicurezza.
Scrisse Virginia:

…la morte di mia madre, la morte di Stella. Non sto pensando ad esse: sto pensando al danno insensato che queste morti hanno causato.

In questi lutti il padre, che, dopo la morte della moglie, molto si era appoggiato a Stella,  non riuscì ad essere di alcun conforto, né a Virginia, né agli altri figli e figliastri, e lei,  sola, indifesa, cominciò a soffrire dell’indifferenza del mondo degli uomini, ma ne aveva già conosciuto anche la violenza subendo, a soli sei anni, un’ aggressione sessuale da parte del fratellastro Gerald (e, dopo la morte della madre, pure l’altro fratellastro, George, cominciò a molestare sia lei che Vanessa, …George Duckworth non fu soltanto padre e madre, fratello e sorella delle povere ragazze Stephen, ma anche il loro amante, W. Woolf, Moments of Being, pag. 155); ciò causò in lei un grave collasso nervoso, peggiorando i disturbi psichici nei mesi in cui Stella, alla quale era molto legata,  cominciava a star male, avviandosi alla fine.
Anche in seguito alla morte del padre la sua depressione si aggravò, sentendosi in colpa per non avergli espresso pienamente il suo affetto, ma Virginia riuscì, comunque, a vivere una vita normale, ad essere attiva e impegnata, a scrivere e a viaggiare.
E fu nel 1904 che tentò per la prima volta il suicidio; di grande  conforto le fu l'amica Violet Dickinson, che la ospitò nella sua casa, la curò e poi la introdusse al Guardian, il settimanale clericale londinese.
Nell'autunno del 1904, insieme alla sorella Vanessa e ai fratelli Thoby e Adrian, Virginia si trasferì a Gordon Square, nel  quartiere londinese di Bloomsbury, dove prese vita il gruppo“Bloomsbury”, un circolo intellettuale di scrittori e artisti che, per un trentennio, animò la scena culturale inglese, riunendosi settimanalmente in casa dell'editore Leonard Woolf per discutere di arte, letteratura e  politica.
Libera, finalmente, dalla presenza dei fratellastri che molestavano sia lei che Vanessa, stimolata dal nuovo ambiente in cui era inserita, con rinnovati entusiasmi  iniziò a dare ripetizioni serali alle operaie di un collegio della periferia, ad essere attiva nel movimento delle suffragette e a pubblicare sul Times Literary Supplement le prime  critiche letterarie.
Il 10 agosto del  1912 sposò Leonard Woolf, ma ben presto cominciò a dare segni di squilibrio mentale e tentò il suicidio per la seconda volta, ingerendo una dose massiccia di veronal.
Si riprese, anche grazie al marito che, per farle riacquisire  fiducia ed equilibrio, le propose di fondare una casa editrice:  nacque, così, la Hogarth Press che pubblicò opere di scrittori emergenti di grande talento, tra cui la Mansfield ed Eliot.
Nel 1922  le sue fragili condizioni mentali subirono un nuovo colpo, allorché dei critici  illustri, tra cui proprio la Mansfield, mal giudicarono il suo romanzo Night and Day” (Notte e giorno).
Risale a quel tempo la sua amicizia con Vita Sackville-West, scrittrice e poetessa, madre di due figli, dalle non nascoste tendenze lesbiche (ma anche la Woolf in gioventù era stata attratta da altre donne), con la quale Virginia intrecciò una relazione, che non intaccò il suo rapporto con Leonard e divenne fonte d’ispirazione: fu a lei, infatti, che pensò nella creazione di Orlando, il protagonista androgino del suo romanzo.
Con il passare degli anni, pur continuando l’attività letteraria, sempre più frequenti diventarono le crisi depressive, peggiorate dalle fobie  acuite dalla seconda guerra mondiale (Virginia fu anche pacifista convinta), finché il 28 marzo del 1941, dopo aver scritto dei biglietti d’addio al marito e alla sorella Vanessa, Virginia si annegò nel fiume Ouse. Suo marito Leonard la seguì dopo 28 anni; tra le sue carte fu trovato questo scritto:

So che Virginia non verrà attraverso il giardino dal suo studio, eppure guardo in quella direzione cercandola. So che è affogata eppure mi aspetto sempre di sentirla entrare. So che il libro è finito, ma io ancora giro pagina.

La stupidità e l’egoismo non hanno limiti.

Virginia aveva scritto di Leonard:

La sensazione che il proprio essere riecheggi nello spazio, quando lui non è qui a racchiuderne tutte le vibrazioni, non è espresso in modo molto chiaro, ma è la sensazione stessa che è strana. Come se il matrimonio fosse lì a completare lo strumento, e se suona uno solo penetra come un violino derubato della sua orchestra e del suo pianoforte.

 “The Voyage Out”  (La crociera), 1913,Night and Day” (Notte e giorno), 1919; “Monday or Tuesday” (Lunedì o martedì), 1921; “Jacob's Room” (La stanza di Giacobbe), 1922; “Mrs Dalloway” (La signora Dalloway), 1925; “To the Lighthouse” (Gita al faro), 1927; “The Common Reader” (Il lettore comune), 1925;Orlando: a Biography” (Orlando, una biografia), 1928; “A Room of One's Own” (Una stanza tutta per sé), 1929;  “The Waves” (Le onde), 1931; “The Common Reader” (Il lettore comune, seconda serie), 1932; “Flush: a Biography” (Flush, una biografia),1931; “Three Guineas” (Tre ghinee), 1938: “Between the Acts” (Tra un'azione e l'altra), 1941, sono solo alcuni dei titoli (in cui le eroine tendono alla “verità”, alla realizzazione che, quasi sempre, raggiungono) della vasta produzione di Virginia Woolf.
Ancora oggi figura di culto per le donne, per le illuminanti riflessioni sulla condizione femminile, il suo esortarle alla creatività, a viaggiare, riflettere, scrivere, realizzarsi,  donna dalla chiara bellezza, così come la restituisce una famosa foto, dai molti lati in ombra (violenze sessuali, ambigui rapporti femminili, tormenti psichici, depressioni) ma con un innegabile valore che sopra tutti gli altri emerge: l’essere stata una grande scrittrice, che decise di porre fine ai suoi giorni solo quando alla sua disperazione non riuscì a trarre più consolazione nemmeno dalla magia delle parole.

Non c’era nessuno. Le parole svanirono. Allo stesso modo nell’aria  svanisce un razzo, e le scintille, attraversata la notte,  si arrendono, e il buio cala, e si posa sulle case e sulle torri, e i fianchi desolati delle colline si ammorbidiscono e scompaiono. Ma anche se sono scomparse, la notte è piena di loro; perso il colore, senza più finestre, le case esistono più massicciamente, emanano ciò che il pieno giorno non  riesce a trasmettere - l'affanno e la sospensione di ciò che è ammassato nel buio; raggomitolato nel buio, privo del sollievo che porta l'alba, quando inonda di bianco e di grigio le pareti, e illumina ogni finestra, solleva la nebbia dai campi, mostra le mucche rossicce che vi pascolano in pace, e tutto riporta all'occhio, e tutto esiste di nuovo. Sono sola; sono sola! gridò, accanto alla fontana di Regent’ Park (fissando l'indiano e la sua croce), come a mezzanotte, forse, quando si sciolgono tutti i legami, e il paese ritorna alla sua forma antica, com'era quando i Romani vi sbarcarono, coperto di nuvole, quando ancora le colline non avevano nome e i fiumi serpeggiavano, non si sapeva verso dove - tanto era il buio…

 V. Woolf, La signora Dalloway.

 

Francesca Santucci

 

Fonti

M. Merlini, Invito alla lettura di Virginia Woolf, Mursia, Milano, 1991.

V. Woolf, Saggi, prose, racconti, Mondadori, Meridiani, Milano, 1998.