Francesca Santucci 

LA TRAVIATA

di Giuseppe Verdi

 


 

...A quell'amor ch'è palpito dell'universo intero,
misterioso, altero, croce e delizia al cor!...


Il soggetto della Traviata, esaltazione perfetta dell’amore e della morte, derivò da La dame aux camélias, piéce mêlée de chant in cinque atti di Alexandre Dumas figlio, rappresentata a Parigi nel febbraio 1852 e, a sua volta, tratta dal romanzo omonimo dello stesso Dumas.
Sotto il nome di Marguerite Gautier, protagonista del romanzo, si celava Marie Duplessis, una delle più celebri mantenute della Parigi di Luigi Filippo, ex amante dello scrittore, morta di tisi a soli ventitré anni, così descritta dall’autore:

Era alta, esilissima, i capelli scuri e la carnagione rosea e bianca. Aveva la testa piccola e gli occhi lunghi ed obliqui come quelli di una giapponese, ma vivaci ed attenti.

Povera ragazza di provincia, ma bella e intelligente, ascese rapidamente al bel mondo parigino, divenendo l’amante di uomini ricchi e nobili.
La relazione con Dumas non fu semplice: lui non era molto ricco per assicurarle gli agi e lei non aveva intenzione di rinunciare agli amanti facoltosi. Si lasciarono e dopo poco, nel 1847, la Duplessis morì. Per vendicarsi di colei che all’amore aveva preferito il lusso, Dumas, ispirandosi alla Manon Lescaut, scrisse il romanzo, trasformando, però, la morte per tisi in una romantica storia d’amore.
Nell’opera verdiana, su libretto di F. M. Piave, Marguerite divenne Violetta Valéry, un personaggio completamente diverso, non privo di dignità morale. Eliminando ogni allusione alla volgarità del mestiere, fu trasformata in creatura delicata e fragile, disperatamente bisognosa d’amore, angelo caduto, ma anche immagine di donna moderna, libera di decidere di se stessa.
Verdi e Piave accusarono dunque non la donna ma la società che aveva il potere di pronunciare condanne senza appello (come nel caso personale del Maestro il cui legame con Giuseppina Strepponi, a Busseto, era mal visto), quasi in bisogno di pronunciarsi contro l’ipocrisia del tempo, di qui l’importanza di rappresentare l’opera in abiti ottocenteschi.
Violetta, la figura più affascinante e complessa del melodramma italiano, è protagonista assoluta dell’opera, in destino di solitudine, contro la società e i suoi stessi amanti, e la sua malattia non è, come per Dumas, la conseguenza della vita sessuale condotta fuori degli schemi, ma l’impossibilità di realizzare il suo sogno d’amore e il doverlo sacrificare all’ordine sociale.
Nella Traviata Verdi s’ispirò al dramma borghese in prosa, incentrato sulle problematiche individuali dei protagonisti, estremamente attento alla coerenza drammatica dei numeri musicali, che furono ridotti a undici ma con estensione dilatata.
Nel I atto troviamo espressi subito il tema della malattia e della solitudine e, insieme, il tema mondano sottolineato dal valzer: Violetta, turbata, scopre il sé l’amore ma subito lo nega- Follie!follie!- esortando al piacere.
Nel secondo atto dalla festa si passa alla campagna, dal momento collettivo a quello intimo, con il dialogo tra Violetta e Gèrmont, il padre di Alfredo, e la sublimazione della donna al sacrificio con la fuga a Parigi.
Nel terzo ed ultimo, introdotto dal celebre preludio in cui è già inscritta la fine ineluttabile di Violetta, siamo a Parigi, un anno dopo.  Il chiasso della festa è soltanto un’eco che dalla strada s’insinua nella camera della donna morente, ricongiunta per un attimo ad Alfredo, ma sola nell’imminenza della morte e nella morte stessa.
L’ultimo canto di Violetta, grandiosa, da eroina, ma in allucinata solitudine, è un canto di morte.
I pezzi d’assieme del I e del II atto sono situazioni di festa, nei duetti si alternano il recitativo, l’arioso e le strofe liriche, pur rispettando l’alternanza tra cantabile e cabaletta, e sono pure rispettati l’articolazione periodica della melodia, le arie multipartite e l’attribuzione di almeno un’aria per ciascun personaggio principale, elementi tipici della tradizione italiana.
Il preludio del I atto è una specie di ritratto della protagonista, culminante nel tema principale, nell’appassionante motivo d’amore Amami Alfredo, ripreso nel duetto finale dell’opera, ora quasi parlato, richiamo alla tecnica del melodramma; quando sente rinascere la vita il duetto sale con l’orchestra fino a culminare in un “fortissimo”, ma poi ricade, proprio come ricade senza vita la protagonista.
L’opera fu rappresentata per la prima volta il 6 marzo del 1853 al teatro La Fenice di Venezia e fu un fiasco completo ma, dopo di allora, la sua fortuna, testimoniata anche dai successi delle varie versioni televisivi, non si è più arrestata.
Diverse le interpreti di Violetta, per il cui ruolo sono richieste doti di soprano lirico di coloratura, drammatico, lirico ed elegiaco, oltre alle notevoli capacità sceniche. Dalla Salvini alla Tebaldi, dalla Scotto alla Freni, dalla Caballé a Teresa Stratas, ognuna ha saputo imprimere al personaggio le proprie qualità ma, su tutte, per lo stile, per lo spessore recitativo, per la presenza scenica, continua a dominare quella della Callas che, aria dopo aria, seppe sottolineare la solitudine, la ribellione, il senso della morte, l’illusione della felicità, usando sapientemente la “parola scenica” fortemente voluta da Verdi (E’ strano, Dite alla giovane, E’ tardi), ed avvalendosi di gesti particolari volti a caratterizzare maggiormente il personaggio, fino al lancio della scarpina, suggeritole da Luchino Visconti, alla cabaletta Sempre libera degg’io del I atto.
Per l’espressiva drammaticità, per la nobiltà e per l’agilità della voce, superba resta l’interpretazione della divina Callas, tanto che ancora oggi la Traviata è Maria Callas.

 

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