TOMMASO VALLOZZA

Diario di prigionia

 

clic sulle miniature per ingrandire

 

 

Il giorno 8, alle ore 20, nella mensa del Presidio di Lubiana, ascolto per radio il proclama di Badoglio annunciante l'armistizio. Quale ufficiale di passaggio, io, secondo ordini superiori mi rifugio presso il Comando Tappa, nei pressi della stazione. Il 9 primi contatti con i tedeschi, disarmo e partenza, insieme a molti altri ufficiali, per S. Vito, località nei pressi di Lubiana, adibita a centro di smistamento dei prigionieri italiani. Qui riceviamo le prime proposte di arruolamento nell’esercito tedesco. Alcuni ufficiali della Milizia aderiscono. L’11 partiamo per la Germania, 52 ogni carro. Il viaggio dura 4 giorni, 11, 12, 13 e 14. Prima di partire scrivo in fretta una cartolina ai miei, e la consegno ad una donna slovena. Durante il viaggio non riceviamo viveri dai tedeschi: fortunatamente quasi tutti avevamo  gallette e scatolette prese nei magazzini di Lubiana. [1], sull’Oder, 60 km ad est di Berlino. Provvisoriamente siamo sistemati alla meglio nella platea del teatro comunale. Il 15 i tedeschi, per la prima volta, ci fanno assaggiare la loro minestra e il loro pane: porcherie inqualificabili. Ben presto però mi abituo a questo nuovo regime alimentare e, orribile a dirsi, dopo qualche settimana di dieta, comincio a gustare questi nuovi prodotti dell’arte culinaria, a me prima sconosciuti.
Il primo giorno non ho potuto prendere la minestra per mancanza di stoviglie: ne richiedo al Comando tedesco. Una lattina metallica, di quelle dove si usa conservare grassi ed olii pesanti, un cucchiaio di ferro arrugginito, e la mia richiesta è esaudita.
Bisogna adattarsi, penso. Vado nel locale adibito al lavatoio e per circa due ore strofino con uno straccio e con terra la lattina e il cucchiaio tentando invano di ridar loro una parvenza di lucentezza. Il 16 finiscono le sigarette, nuova sofferenza, prima non conosciuta. Il 18 i tedeschi portano una radio nel nostro dormitorio, e così la sera possiamo ascoltare il discorso pronunciato da Mussolini subito dopo la liberazione. Come è cambiato il tono della sua voce: niente più spavalderia e sicurezza; sembra la voce di un uomo stanco, sfinito, vinto. Restammo insensibili, contrariamente alle previsioni dei nostri carcerieri. Domenica 19: un cappellano, che si trova con noi, ottiene di poter celebrare la S. Messa, e per questo siamo condotti in un vicino campo, dove ci incontriamo con migliaia e migliaia di nostri soldati. Il giorno dopo torniamo in questo campo: ci fanno la fotografia e ci assegnano il numero (305573).
Il 22 torniamo di nuovo al campo: c’è l’adunata di tutti gli italiani che si trovano in quella regione. Motivo: arrivo di un rappresentante della nuova Repubblica sociale fascista. Nuovo invito di arruolamento, questa volta nelle S. S. Rifiuto quasi unanime sia da parte degli ufficiali che da parte dei soldati. La sera dello stesso giorno noi ufficiali partiamo per una nuova destinazione. 22 – 23 – 24 – 25 – 26 – 27 – 28 settembre. Viaggio disastroso fra sofferenze atroci: fame, sete, sonno, stanchezza. Per mancanza di spazio bisogna restare o in piedi o seduti per terra con le ginocchia piegate contro lo stomaco. Essendo la linea ingombra per i numerosi convogli trasportanti materiali e soldati tedeschi al fronte russo, restiamo due giorni fermi in mezzo alla campagna polacca, a metà strada tra Cracovia e Leopoli, chiusi entro i vagoni, senza viveri ed abbandonati dalle sentinelle che si sono rifugiate in un vicino paese. Alcune famiglie di contadini polacchi, con i quali abbiamo parlato attraverso il finestrino dei vagoni, ci portano pane, marmellata, patate lesse, latte ed altra roba. Le sentinelle, tornate d’improvviso, sfogano la loro collera picchiandoli col calcio dei fucili. Il 28 finalmente arriviamo a destinazione, a Przemysl[2], nella Galizia polacca. Nel campo situato a qualche chilometro dal paese, vi sono circa 200 olandesi, che il giorno dopo vengono trasferiti. Il 29 e il 30 alcuni ufficiali superiori, di loro iniziativa, assumono il comando del campo, ci organizzano per gruppi e ci distribuiscono nelle varie baracche.

Ottobre

L’1 e il 2 arrivano altri ufficiali, un migliaio circa, Fra questi trovo Giulio Mosca, e il nostro Severini. In totale siamo circa 2200. Il 3 un cappellano celebra la prima messa al campo. La razione viveri è leggermente diminuita rispetto a Fürstenberg. Invece di una le minestre sono due, inferiori per quantità e qualità. Io le divoro in un attimo, talvolta senza adoperare il cucchiaio, a differenza di molti altri che ne assaggiano un po’ ogni tanto, quasi per avere più a lungo l’illusione di mangiare qualcosa. Quanta fame. Al mattino mi sveglio, mi alzo sul letto, mi si annebbia la vista, mi gira la testa; passato questo primo attimo di stordimento, avverto dei crampi allo stomaco. Mi dicono che sono i muscoli indolenziti dal forzato riposo. E sono appena le 9,30; ancora due ore per l’arrivo della prima minestra con un tozzo di pane nero. Alcuni, avuto il pane, lo dividono accuratamente in due parti, ne mangiano una con la prima minestra, e conservano l’altra per la sera: io non ci sono ancora riuscito.

Il giorno 4 altro invito di arruolamento, questa volta nell’Esercito repubblicano, agli ordini del Duce: rifiuto quasi collettivo. Il giorno 5 apprendiamo che gli inglesi sono sbarcati a Termoli: cosa starà succedendo a Loreto? Il giorno 12 si sparge la notizia che i tedeschi hanno chiesto una tregua d’armi ai russi. Che sia la fine? Il giorno 14 la notizia viene smentita. Ho scritto oggi prima lettera a casa con gli appositi moduli datici dai tedeschi. Il 15 il tempo cambia improvvisamente: freddo intenso con fortissimo vento. Dopo 6 o 7 giorni torna finalmente il bel tempo. Il 24 ci distribuiscono il primo tagliando per pacco. Il 28 il tempo cambia nuovamente. Gli ufficiali superiori partono per un altro campo ed il 31 arrivano altri 350 ufficiali inferiori. Vengo a sapere che nel campo di provenienza di questi vivono molti ufficiali catturati a La Spezia. E Zopito[3]?

Novembre

Il colonnello De Micheli, per fortuna non è partito, è rimasto quale comandante italiano del campo. Il giorno 3 arrivano le prime lettere dall’Italia settentrionale.

Il 4 il colonnello Carloni, ex-comandante il 6° Regg. Bersaglieri, ed ora repubblicano, viene nel nostro campo a scopo propagandistico: raccoglie circa 130 adesioni su 2200. Ha pronunciato un lungo discorso, facendoci restare per un paio d’ore sotto una bufera d’acqua e neve e vento freddissimo. Il giorno s’incendia una baracca: noi giovani accorriamo subito e riusciamo, dopo parecchie ore, a spegnere il fuoco: la baracca però è andata distrutta. Il capitano tedesco, come premio per il nostro buon comportamento, ci regala 2 ql. di patate. Se ne incendiasse una al giorno di baracche, mormora qualcuno. Le altre giornate, invece, trascorrono lente e monotone; il freddo aumenta. Il 18 i tedeschi distribuiscono 75 sigarette a testa. Con 50 ci compro una maglietta a mezze maniche e un paio di calze; le altre invece le fumo un po’ per volta. Quando mi finiscono cedo la mia penna stilografica ad un operaio polacco, in cambio di tabacco e di un po’ di pane.

Dicembre

Il giorno 8 il col. De Micheli fa celebrare il giuramento al Re degli ufficiali di 1a nomina che non avevano ancora giurato. Il cap. tedesco viene informato da una spia italiana e fa trasferire il col. De Micheli in un campo di detenuti politici. La razione di viveri viene di nuovo diminuita. Spinto dalla fame, e desiderosa di fare qualche provvista per le prossime feste natalizie, mi decido a vendere il mio cronometro ai polacchi. Tabacco, pane, marmellata, burro e zucchero. Tutto sparisce in pochi giorni, ad eccezione del tabacco che mi dura per qualche mese. Per Natale, insieme ad un siciliano, ho preparato alcuni dolci, a base di pane nero, zucchero, margarina e marmellata. Il giorno di Natale ha nevicato abbondantemente ed ha continuato, senza interruzione, sino alla fine dell’anno. Il 27 riceviamo una visita del comm. Vaccaro, repubblicano. Ci porta come dono natalizio da parte della Repubblica sigarette “tre stelle”, e una domanda di arruolamento nell’esercito repubblicano. Abbiamo accettato tutti le sigarette: pochi la domanda di volontariato.

Gennaio 1944

I Russi avanzano verso la nostra regione. Qualcuno spera che arrivino presto per liberarci. Invece il giorno 3 il cap. tedesco ci fa comunicare che presto il campo si sarebbe sciolto, e noi saremmo partiti per altra destinazione. Arrivano molti pacchi ai colleghi dell’Italia settentrionale. A me niente; almeno ricevessi notizie da casa. Il giorno 9 partiamo. C’è tanta neve. Sono le 8 del mattino. Le pareti e il tetto del vagone sono ricoperti da un sottile strato di ghiaccio. Siamo in 45 ogni carro. Ben presto l’ambiente si riscalda e il ghiaccio comincia a sgocciolarci sopra. Il pavimento in legno si inzuppa di acqua ma noi dobbiamo sdraiarvici sopra se vogliamo riposare un po’. I miei compagni di viaggio sono molto collerici: Quattro mesi di sofferenze hanno scosso il sistema nervoso di tutti. Presto s’iniziano discussioni: “il tale occupa più spazio dell’altro”. Le discussioni finiscono sempre in odiosi litigi resi ancora più insopportabili dalla ristrettezza dell’ambiente. Quattro lunghi giorni dura questo inferno. Arriviamo la sera del 16. Sono sfinito. Leggiamo, nella facciata della stazione, il nome della località, è Hammerstein[4], Prussia orientale.

Il campo dista 4 km; iniziamo la marcia trascinandoci dietro i bagagli. È quasi notte quando facciamo il nostro ingresso nella nuova prigione. Per mancanza di tempo i tedeschi decidono di rinserrarci tutti (siamo in 800) in un solo baraccone, mancante di porte e di vetri. Io entro fra i primi, preoccupandomi di trovare un angoletto dove potermi stendere. Illusione. In piedi tutta la notte dobbiamo restare, stretti e pigiati l’uno contro l’altro. Ben presto un capitano piuttosto anziano, poggia la sua testa sulla mia spalla: “Tu sei giovane, hai più forza di me” mi dice. A tratti s’addormenta appoggiandosi con tutto il corpo sopra di me. Al mattino apprendo che molti hanno passato la notte fuori. Alle ore 8 iniziano la disinfestazione: terminiamo alle 3 del pomeriggio. Poi finalmente ci danno una minestrina dove dovrebbe essere dell’orzo. In ultimo ci assegnano nelle varie baracche: ci stendiamo a terra e dormiamo sino al giorno dopo. Sino ad oggi, è stata questa la settimana più dura. Il carattere delle nuove sentinelle, autentici prussiani, è tutt’altro che raccomandabile. Fucilate, calci pugni; persino i cani ci scagliano contro. Il 18, il 19 e il 20 siamo occupati per sistemarci il meglio possibile, nelle nuove baracche. Apprendiamo presto che ci troviamo in un campo di punizione per prigionieri russi, e i russi ci sono ancora, per lo più tisici o affetti da tifo petecchiale. Gli ultimi giorni di questo mese li trascorro sdraiato continuamente nella mia cuccetta. Risento degli sforzi fatti in questi ultimi giorni: le forze cominciano a mancarmi, e deprimo paurosamente.

Febbraio 1944

Il giorno 2, alle sei del mattino, siamo destati da un furioso latrar di cani, e da imperiosi comandi di sentinelle tedesche – adunata generale. Non abbiamo il tempo per vestirci, e per ripararci dal freddo, ci buttiamo addosso chi una coperta, chi un cappotto. Crediamo di dover restare fuori per poco tempo ed invece siamo rientrati in baracca dopo 9 10 ore. Durante questo tempo siamo rimasti tutti in un vasto campo all’aperto, digiuni, deboli, esposti, con pochi indumenti addosso, al freddo, al vento, all’acqua, alla neve, in attesa che i tedeschi terminassero una accurata perquisizione alla baracca per ritrovare una radio clandestina che invece non sono riusciti a trovare. Io, Occioni e Pirovine, stretti l’uno contro l’altro, a braccetto, cominciamo a passeggiare furiosamente per vincere il freddo, ma dobbiamo smettere ben presto per mancanza di forze. Ci sdraiamo a terra, rassegnati, in attesa della fine. Vediamo così un vecchio stramazzare a terra privo di forze; alcuni soldati lo raccolgono e lo conducono all’infermeria. Prima che la perquisizione finisca altri 9 o 10 hanno la stessa sorte. Noi osserviamo tutto e non possiamo reagire, per non aggravare le nostre sofferenze: sappiamo quello che i tedeschi riservano a chi osa rivoltarsi ai loro ordini. Per la metà di febbraio cominciano ad arrivare i primi pacchi. Marcello mi offre di spedire i miei tagliandi a casa sua, naturalmente dividendo a metà il contenuto dei pacchi che arriverebbero al mio indirizzo: accetto. Alla fine del mese Marcello riceve il suo primo pacco. Lo consumiamo in due giorni. I tedeschi ci distribuiscono un po’ di sigarette fatto con uno pseudotabacco di marca russa.

Marzo 1944

Fa molto freddo. Il vento non accenna a diminuire. Le pareti e il pavimento della nostra cameretta sono bagnate. Io dormo a pianoterra di un castello a 3 posti. Le poche assicelle di legno che costituiscono il mio giaciglio sono a 20 cm dal pavimento e, a causa dell’umidità, sulla faccia inferiore del mio pagliericcio s’è formata una incrostazione di muffa. Il giorno 7, S. Tommaso, rape, acqua, pane nero, sale e un cucchiaio di marmellata. Sono estremamente debole. Alla sera annunciano a Marcello l’arrivo del suo secondo pacco. Pianto di gioia. Quando tutto è finito ci accorgiamo che di pacchi ce ne vorrebbero uno ciascuno ogni settimana, per poter tirare avanti discretamente. Per non consumare inutilmente energie, me ne sto sempre sdraiato sul letto. Leggo quando posso, e quando mi mancano i libri, lavoro con un temperino due pezzi di legno, cercando di ricavarne un paio di zoccoli.

           Aprile 1944

Solita vita. Il tempo non accenna a rimettersi. Il 9, Pasqua, minestra di piselli e patate a mezzogiorno, la sera pane nero, margarina e sale. Verso la metà del mese i tedeschi ci fanno una visita di controllo, con relative analisi del sangue, forse per constatare il nostro grado di deperimento. In seguito a queste visite la sera del 29 sono ricoverato in infermeria, insieme ad altri 12 ufficiali, quasi tutti della mia stessa età. 30 aprile. Primo giorno trascorso in infermeria. Leggero miglioramento vitto, almeno quantitativamente.

     Maggio 1944

1 Maggio. Compleanno di Marcello. Secondo giorno di permanenza in infermeria. Siamo in 14. Un caporalmaggiore infermiere, un pazzo paranoico, ed altri undici ricoverati come me, per estremo deperimento. La nostra cameretta è fornita di 13 castelli in legno, in buono stato. Manca la stufa, di cui avevamo molto bisogno. Non ho altro addosso che una maglietta a mezze maniche e una camicia tutta stracciata. Il tempo continua ad essere rigidissimo. Spira un forte vento e l’aria è satura di umidità. In complesso l’ambiente è tutt’altro che adatto per costituire un luogo di cura per malati come noi. Il vitto peraltro è sempre insufficiente e di scarso valore nutritivo e il deperimento invece di scomparire aumenta progressivamente. I nostri medici non sono ancora venuti a trovarci. La loro noncuranza è certamente delittuosa. Unica persona simpatica ed affettuosa è Don Mario, giovane cappellano, che tutte le sere viene a recitare il Rosario, s’intrattiene volentieri con noi. Solo Iddio può aiutarci. I tedeschi ci maltrattano, e, fra gli italiani, chi può ci trascura.

2 - 3 - 4 – 5 maggio. Forte bufera di pioggia e vento freddissimo di giorno, di notte, continuamente tremo per il freddo. Chi sa quando tornerà un po’ di sole. Ho un forte raffreddore, con tosse e mal di gola. Invece di migliorare sto peggiorando.

6 - 7 – 8 Mi arriva un pacco da Venezia, e ne divido con Marcello. Qualche gallettina, un po’ di latte in polvere e un barattolo di condimento: poca roba, ma meglio che niente. L’8 scrivo una lettera alla signora Tonini Adelia. Il tempo non accenna a migliorare. Nelle brande vicine sono arrivati dei prigionieri russi affetti da tifo petecchiale. Vi sono anche due donne.

10 – 14) Visita di un capitano medico tedesco. Probabilmente saremo ricoverati all’Ospedale francese. Sarebbe una fortuna. Si dice infatti che lì c’è da mangiare e da fumare. E poi si sarebbe lontano dai russi affetti da tifo e tubercolosi. I capannoni sono in muratura, puliti, con lavatoi e gabinetti interni. L’altra sera la sentinella tedesca ha ammazzato un russo che, scavalcando il reticolato, era passato nella nostra infermeria, non si sa con quali intenzioni.

L’11 il tempo s’è rimesso; il 12 abbiamo finalmente rivisto il sole per un po’ di tempo. Ieri, 13, il cielo s’è oscurato di nuovo, ed oggi piove abbondantemente. Il freddo però è diminuito. Da diversi giorni, grazie a un fortunato contratto con un infermiere, mangio razione doppia di minestra e pane tedesco. Mi si sta gonfiando la pancia. Sembra che il resto del corpo non risenti di questo aumento di alimentazione, perché la carne, i muscoli non accennano a tornarmi. Ci vorrebbero spaghetti, bistecche, uova, ecc… Mi viene in mente talvolta tutto quello che mamma e Italia volevano forzarmi a mangiare e che io stupidamente rifiutavo. Quando ritornerò però non rifiuterò mai niente. Quante sofferenze all’arrivo dei pacchi dei colleghi, per la vista di un po’ di marmellata, di un pezzo di cioccolata, di qualche gallettina. E la carne, da quanto tempo non ne mangio. Ieri Giulio mi disse che Torelli, la cui famiglia era sfollata a Loreto, aveva ricevuto una cartolina, dove gli comunicavano che Pescara era quasi completamente distrutta, ma che a Loreto si stava ancora benino. Se ricevessi anch’io qualche notizia dai miei, sarebbe una vera grazia di Dio: il sapere che essi mi sanno vivo, e il saperli tutti in vita. Oggi ho scritto una cartolina a Vera, nella speranza che almeno lei sappia darmi qualche notizia di Antonio.

15) Sono arrivati 1200 pacchi: stasera vi sarà un primo elenco di 200 nomi: speriamo bene. Giorni fa hanno isolato Parasani (il pazzo): è stato per noi un vero sollievo, perché la cameretta cominciava ad avere un certo odore di fogna. Di nuovo vento freddo dal Nord: siamo in maggio e il tempo non vuol rimettersi.

16 – 31) Hanno letto tre liste: niente per me e Marcello. È morto un soldato affetto di tifo petecchiale. Abbiamo ripetuto il bagno e la disinfestazione alla biancheria e alle baracche. Il 22 è arrivato un mio pacco con riso e pasta. Giulio ha avuto un po’ di febbre malarica. Il tempo è sempre brutto: vento, pioggia, freddo. Soltanto il 24 il cielo si è un po’ aperto; il vento è diminuito e quindi anche il freddo.

      Giugno 1944

Il 2 siamo andati all’Ospedale francese per una visita di controllo. Bernava, Salvestri e Bigatti, rimessi completamente, sono stati dimessi dall’infermeria. Ho scritto una lettera a Zaccaria (Ravenna), Il 5 sappiamo che gli alleati sono entrati a Roma. Il 6 che gli inglesi sono sbarcati sulle coste bretoni: lancio di paracadutisti a Ville (?); attacco in forze delle truppe russe contro Varsavia; Spalato conquistata dalle truppe di Tito; Viterbo e Rieti occupate. Alle ore 19,30 (6 del 6) Giulio mi fa chiamare e mi annuncia che ha visto al Comando una mia cartolina proveniente da Loreto. Incurante del pericolo che correvo uscendo dall’infermeria, dopo aver accennato alla guardia tedesca che avevo bisogno di andare al blocco, mi precipito alla baracca comando. Mi si dice che la posta è già stata smistata. Vado alla baracca dove sono alloggiato  prima e finalmente riesco ad avere fra le mani la cartolina. È in data 14 – 3, scritta in risposta ad una mia da Przemysl: è firmata da tutti: buone notizie. L’8 arriva un mio pacco. Continua l’avanzata degli alleati in Italia: Civitavecchia e Bracciano (?) occupate. Sulla costa francese continua lo sbarco con accaniti combattimenti. Sarà la fine? Il giorno 7 è venuto un sergente tedesco ad ispezionare l’infermeria. Il dottor Fanelli, che già da tempo covava desideri di vendetta contro la nostra cameretta che non voleva mai accettare i suoi soprusi, la sera ci priva arbitrariamente del tozzo di pane che i tedeschi ci avevano mandato; secondo lui il sergente tedesco non era rimasto sodisfatto della cameretta. E pensare che avrebbe dovuto preoccuparsi della nostra salute vacillante appunto a causa del poco nutrimento. Abbiamo riferito l’accaduto al cap. Capelli[5], comandante del campo, il quale non ha esitato a definirlo “il gesto più inumano compiuto da un italiano ai danni di connazionali ammalatisi in seguito al grave deperimento organico”.  Le notizie militari riguardanti il fronte d’invasione e quello italiano sono buone. I bollettini non parlano del fronte adriatico, ma tutti credono che in quella zona i tedeschi si sono ritirati senza combattere. Il giorno 27 devo mettermi a letto a causa di un doloroso accesso alla guancia destra.

      Luglio 1944

Il 2 luglio, giorno della Madonna delle Grazie, ho sofferto fino a piangere. Sono dovuto andare al laboratorio dentistico, dove un medico chirurgo, per più di un’ora, mi ha visitato, facendomi anche delle punture di esplorazione per vedere se era il caso di incidere l’accesso. Tornato dal laboratorio, Mosca viene a trovarmi: ha ricevuto due lettere, nelle quali gli parlano dei bombardamenti di Loreto del 13 e 14 gennaio: fra l’altro molte case colpite anche a San Nicola: e la mia casa? È stata una delle giornate più brutte, peggiore anche di quelle di gennaio, febbraio e marzo, quando le sofferenze della fame me ne facevano dimenticare tante altre. Quando finirà questa maledetta prigionia? Il giorno 4, dopo quasi una settimana di impacchi caldissimi, l’accesso finalmente comincia a migliorare. Il 5 scompare completamente. Ricomincio la solita vita, monotona e noiosa. Io e Piombini giochiamo spesso a “Bridge” con Don Mario e padre Roger e riusciamo quasi sempre a vincere  una sigaretta ciascuno agli sfortunati cappellani. Il 15 io e Marcello abbiamo fatto un buon pranzetto: pasta all’uovo con salsa di pomodoro. Il 17 il dottor Fanelli viene sostituito, con nostra grande gioia, dal capitano medico Antinozzi. Non lo conosco: dicono sia un brava persona. Speriamo che non si guasti. Il 24 Piombini, Franzi e Ventura sono usciti dall’infermeria. Sono rimasto solo e mi annoio mortalmente. Le riserve dei pacchi sono esaurite; le minestre sempre più liquide e condite male, anzi non condite affatto, di un gusto infernale. Avevamo iniziato con Piombini, che conosceva un po’ il tedesco, un fruttuoso commercio con le sentinelle; pane contro sigarette. Ora tutto è finito. Il 20 abbiamo saputo dell’attentato contro Hitler le notizie politiche e militari di tutti i fonti sono soddisfacenti e fanno sperare in una fine non molto lontana. È arrivato da Stettino il cap. Ghionda (fiduciario degli aderenti al lavoro) il quale ci ha riferito che gli ufficiali che si trovano alla scuola sono trattati abbastanza bene sotto ogni punto di vista. Nuove richieste di lavoro per una fabbrica di areoplani. Nessuna adesione.

        Agosto 1944

Le notizie politiche e militari circolanti per il campo sono buone e fanno sperare in una prossima fine della guerra. Molte di esse certamente sono senza fondamento, create soltanto dalla fantasia di qualche ottimista. Le principali sono: morte di Hitler in seguito a ferite; uccisione di Mussolini; importanti città francesi occupate dai patrioti; dissidio, in Germania, tra partito ed esercito; divisioni tedesche accerchiate, altre arresesi al nemico; costituzione a Mosca di un nuovo governo tedesco e a Londra di un governo austriaco; ed altre di minore importanza. Il 31 luglio, compleanno di Piombini, abbiamo fatto una buona cenetta; io, Piombini, Franzi, Marcello e Renza. Minestra di riso e fagioli, gallette con marmellata, cioccolata e, in ultimo, una zuppa di biscotti in caffè dolcissimo e concentratissimo procurato da Renza in cucina: dopo la cena una sigaretta nazionale a testa.

Il due sono andato all’ospedale francese per una visita di controllo. Nessun miglioramento sensibile, purtroppo. Il 5 o il 6 è arrivato un vagone carico di gallette, inviate dal governo repubblicano. La spettanza per ognuno è di kg 3, ossia 15 gallette di cui sei ammuffite. Il Comando tedesco ci ha fatto distribuire per 4 giorni pane ammuffito. In questo modo ho brillantemente collaudato il mio stomaco contro la muffa. Le diarree, i dolori di stomaco, le dissenterie, ecc. …. in questi giorni superano di molto la percentuale ordinaria. Anche io, il 14, sono rimasto un paio di giorni a letto con vitto speciale: minestrina di acqua calda e limpida senza la più piccola macchiolina di grano. Il tempo è cambiato improvvisamente. Una forte ondata di freddo ha costretto a riprendere gli indumenti invernali a chi ne possedeva. Io ho sofferto molto, specialmente la notte dal 14 al 15, quando sono stato costretto ad alzarmi 4 o 5 volte per raggiungere la fossa adibita a gabinetto.

19 agosto: mio compleanno. Caffè amaro ed affatto gustoso. Alle 8 visita di Bruno per gli auguri. Alle 9 è la volta di Marcello e Renza, con i quali ho giocato qualche partita a scacchi. Alle 11 arriva la minestra “farina” ci gridano i portatori, In verità si tratta di una poltiglia di colore scuro, che i tedeschi chiamano farina, e due o tre patate marce che hanno un gusto ributtante. Ho mangiato tra le patate le meno guaste, rinunciando al resto. Poi mi sono sdraiato un po’ sul letto. Nel pomeriggio sono andato al blocco a trovare gli amici. Aspettiamo l’arrivo della spesa; nell’attesa abbiamo preparato un tavolo con delle panche dietro la baracca. Alle 18,30 cominciamo a cenare. Oltre la razione tedesca qualche gallettina conservata gelosamente per l’occasione e un barattolo di latte condensato; caffè dolce proveniente dalla cucina e riservato ai cucinieri. Dopo aver discusso un po’ ce ne torniamo nelle nostre baracche per dormire. Il 21 sono arrivati circa 300 pacchi. Bruno e Renza sono tra i fortunati. Il 2 disinfestazione generale. Il 1° blocco deve ripeterla perché alcuni ufficiali non si sono presentati. È arrivato un vagone di zucchero e marmellata, inviato dalla Croce Rossa Italiana. Per noi ricoverati in infermeria la razione è più abbondante. La sera del 27 il dottore mi annuncia che sono in uscita; mia immensa gioia. Al blocco sono stato assegnato alla 2a cameretta della 6a baracca del III blocco. Marcello viene subito a stabilirsi con me. Le notizie militari sono sempre migliori e speriamo tutti in una prossima fine.

Settembre 1944

La notte dal 5 al 6 sono stato costretto ad alzarmi più volte per forti dolori intestinali. Ho preso molto freddo e la mattina resto a letto con la febbre a 41°. Il medico mi porta sei solfamidici da prendere durante i pasti, o meglio durante i digiuni. Il febbrone dura tutto il giorno: alla sera mi sento un po’ meglio e la notte riposo abbastanza bene. Il giorno dopo tutto è passato: il febbrone però ha lasciato i suoi segni; delle piaghe attorno alle labbra e sul mento, e delle scottature nell’interno della bocca, nel palato e nella gengiva; posso mangiare soltanto delle pappette di acqua e pane grattugiato, condite con  margarina e sale. Qualsiasi cosa sfiori il palato mi provoca atroci dolori. E così avanti per una settimana. S’avvicina intanto il raccolto delle patate, ed il cap. tedesco comincia a far opera di propaganda fra noi ufficiali affinché si aderisca in massa a questo genere di lavoro. Purtroppo molti aderiscono, alcuni per fame, e questi sono scusabili; molti altri invece, che ricevono continuamente pacchi dall’Italia, per motivi inspiegabili. Avrei voluto aderire anch’io, ma ho pensato che questo genere di lavoro manuale e faticoso avrebbe potuto nuocere alla mia salute, divenuta ormai tropo delicata a causa delle prolungate privazioni. Marcello è andato, ed ogni sera riporta 8 o 10 kg. di patate e mi ha raccontato che fuori sono trattati molto bene: il vitto è abbondante e buono. Qualche volta hanno mangiato anche minestra con brodo di pollo o tacchino e per secondo un buon pezzo di carne; spesse volte anche il dolce. Dopo tre giorni Marcello mi ha confessato di essere stanco, e mi ha pregato di sostituirlo per una volta. Ho accettato volentieri.

             Ottobre 1944

Il 2 sono andato a lavorare in sostituzione di Marcello. Il lavoro non mi è sembrato eccessivamente pesante: piuttosto molto umiliante. Al ritorno anche io ho riportato una decina di kg di patate e così in poco tempo, fra me e Marcello, abbiamo fatto una discreta provvista. Il giorno 9 gli ufficiali del I blocco sono partiti diretti a Norimberga. Si dice che presto si vada via anche noi. Ho dato delle patate a Giulio, Osvaldo e a Borgatti che ne erano sprovvisti. Per timore di uno spostamento io e Marcello in poco tempo consumiamo tutta la nostra provvista. Bruno è andato a lavorare come ragioniere. Sono arrivate da parte della C.R.I., gallette, formaggini, che finiscono in breve tempo. Le patate sono pure finite; la razione pane è stata di nuovo diminuita; le minestre sempre più liquide e ributtanti. Il freddo comincia a tormentare di nuovo. Siamo senza illuminazione, e, alla sera, ci corichiamo tutti per le ore 17. Il cap. ha stabilito di concedere riscaldamento e illuminazione solo a quelle camerette che avessero fornito un buon numero di ufficiali disposti ad andare in un bosco vicino a far legna per gli usi del campo. Molti si sono adattati. Invece i componenti della mia cameretta, dopo lunghissime ed esasperantissime discussioni, hanno deciso di voler soffrire il freddo e di voler restare al buio. Io spero in qualche avvenimento che modifichi la nostra situazione, divenuta ormai insostenibile. Il 24 anniversario della morte di papà, ho fatto la SS. Comunione.

           Novembre 1944

Le patate le gallette sono finite, e, naturalmente, si ricomincia a soffrire la fame come sempre. Per nostra maggiore disgrazia il freddo aumenta: la pompa dell’acqua comincia a ghiacciare. La maggior parte degli ufficiali componenti la cameretta ricevono pacchi in gran numero, io, Marcello e pochi altri stringiamo la cinghia. Indebolisco di nuovo e deperisco a vista d’occhio. Al mattino la testa mi gira e la vista mi si annebbia e l’inverno è appena cominciato. Oltre 6 lunghi mesi di freddo: questa volta non resisterò di certo. L’idea di una morte così terrificante mi dà la forza di compiere un passo pericoloso. Mi metto in nota per andare a lavorare come agricoltore a Kempten in Baviera, vicino al lago di Costanza. Marcello è d’accordo con me. All’ultimo momento però non ce la sentiamo di rinunciare alla nostra qualifica di ufficiale per prendere quella di lavoratore civile; e così ci rifiutiamo di firmare e restiamo nel campo. Dure giornate, fino al 26. Finalmente il 26, domenica, nella baracca di fronte alla nostra, vengono installati una ventina di russi. Si sparge subito la voce che sono gli addetti ai forni, e quindi ben provvisti di pane. Allora i più affamati, i “senza pacchi”, ci precipitiamo da loro con un oggetto qualsiasi da barattare con pane. Io ho un portasigarette in “Plexiglass”, vecchio e rotto, e lo cedo molto volentieri in cambio di pane che in poco tempo faccio fuori con l’aiuto di Marcello. E così, per quel giorno, è scomparso il pericolo della fame. Il giorno dopo, 27, arriva un pacco a Marcello: grande gioia per entrambi. Ma cosa può durare un pacco in due. Il ricordo delle recenti sofferenze ci fa decidere entrambi a smettere di fumare. Conserviamo le sigarette ricevute per mutarle in pane nei momenti peggiori. Facciamo anche un piccolo inventario della roba che ci resta da barattare. A me resta poco; Marcello ha deciso di cedere, in casi estremi, anche il vestito borghese. Abbiamo calcolato di poter tirare avanti ancora per un mese o poco più. Alla fine, se proprio non riusciamo a cavarcela, ci decidiamo anche a fare il doloroso passo. Molti vanno fuori in questi giorni a lavorare come agricoltori. Eravamo circa 200: siamo rimasti in 100, e fra giorni ci ridurremo ancora. Una notte, non ricordo bene se quella del 16 o del 17, ho sognato mamma che si recava a Pescara su di una biga per mancanza di altri mezzi. L’altra mattina poi mi sono svegliato proprio mentre nelle vicinanze passava un treno. Il rumore era uguale a quello che sentivo tanti anni fa svegliandomi a casa, nelle stesse giornate di novembre quando funzionava il frantoio. Ho pianto pensando che in quel momento il frantoio funzionava veramente; alla sveglia ho fatto la SS. Comunione ed ho pregato Iddio affinché la mia immaginazione fosse realtà.

              Dicembre

Il giorno 4 ci avvertono che presto dovremo ripartire forse per Norimberga. Evidentemente i russi hanno sferrato l’attacco nel nostro settore. E così, dopo quasi un anno, abbandono la Pomerania dove ho tanto sofferto, e dove certamente non tornerò mai più per nessun motivo. Partiamo il 7 dopo aver fatto due disinfestazioni per me disastrose. Marcello la sera del 6 ritira due pacchi: perciò siamo abbastanza carichi. Il trasporto dei bagagli dal campo alla stazione è stato certamente avventuroso. Valigette, scatole, sacchetti confezionati alla buona per mancanza di tempo, pacchettini di ogni forma e dimensioni, legati l’uno con l’altro con uno spago tutt’altro che resistente, tutto avevamo caricato sulle nostre spalle. All’uscita dal campo abbiamo dovuto disfare tutto per la perquisizione. Abbiamo percorso a passo bersagliero i 6 km che ci separavano dalla stazione e, dopo numerosi incidenti, finalmente siamo riusciti a sdraiarci nel nostro meraviglioso carro merci. Dopo una mezz’ora di riposo ci guardiamo intorno per dare una sistemazione ai nostri fagotti e ci accorgiamo, miracolo, di avere una stufa pronta per il carico, ai piedi della stufa un bel mucchietto di carbone, ed una lampada ben carica di petrolio. Prima della partenza riusciamo a spiegarne il motivo: tre autentici campioni della razza teutonica ci fanno l’onore della loro compagnia in qualità di “sentinelle”. Benvenuti gli apportatori di luce e calore. Il viaggio dura 5 giorni e le provviste erano per tre: ormai siamo abituati a questi piacevoli giochetti. Alla stazione di Stettino trovo un soldato di Loreto, Di Pietro Tommaso, che lavorava come facchino. Questi mi regala un po’ di pane, una galletta, una scatola di formaggini, un po’ di miele e 5 sigarette. Il giorno 11 arriviamo a Norimberga[6]. Qui ritrovo Giulio, Palladini, Severini e Osvaldo. La sera dell’11 Giulio riceve posta in data 15 ottobre; così indirettamente ho notizie dei miei che stanno bene. La nuova sistemazione è discreta; persino la luce elettrica fino a tardi: dopo 15 mesi finalmente un po’ di luce. Il vitto pure è terribilmente scarso. Non so come riusciremo a cavarcela io e Marcello quando avremo finito le riserve dei pacchi che stiamo rigorosamente razionando. Prima di Natale c’è stata una distribuzione di gallette, riso, zucchero e sigarette inviateci dalla S.A.I.M. E così, a differenza, dell’altr’anno, tutti possiamo trascorrere le feste relativamente sereni, senza la preoccupazione di restare con la pancia vuota. A Norimberga ritrovo il magg. Zuccardi, mio ex-comandante di compagnia.

      Gennaio 1945

Il 2 gennaio, alla sera, c’è stato un forte bombardamento alla città. Qualche vetro delle baracche è andato in frantumi; le stoviglie, che riponevano su delle mensole improvvisate, sono cadute a terra e si sono rotte. Abbiamo saputo qualche giorno dopo che la città è stata totalmente distrutta: i danni ingentissimi, le vittime numerosissime. Molti italiani, che lavoravano nelle fabbriche belliche, sono morti. Il freddo in questi giorni è pungentissimo. Dietro nostra richiesta il comando tedesco ci ha autorizzati a recarci in un vicino bosco per rifornirci di legna da ardere. La vigilia dell’Epifania sono stato invitato, per la seconda volta, a cena da Giulio, che in un pacco aveva ricevuto della pasta bianca. Il giorno 16, per celebrare l’onomastico di Marcello, organizzo una cenetta, alla quale partecipa anche il magg. Grando, zio della fidanzata di Marcello. Menù: risotto, spezzatino, di carne e patate, frutta (noci) e dolce (budino di riso). Il tutto preparato magistralmente da me, ormai espertissimo cuoco ed ansioso di gareggiare un giorno con mamma ed Italia. Dopo il pranzo il magg. Grando ci offre una sigaretta nazionale a testa; e così, dopo 16 giorni, ho fumato una sigaretta intiera. Le rimanenti giornate di gennaio trascorrono monotone e fredde (abbiamo raggiunto i –20°), senza sigarette né tabacco, con vitto insufficiente, e sistemazione sempre peggiore per l’arrivo continuo di nuovi ufficiali. Sin dai primi del mese, a causa del bombardamento di Norimberga, siamo rimasti senza sale. Minestra e pane insipidi, una cosa veramente orribile. Verso la fine del mese il campo comincia a sciogliersi. Parte un primo scaglione di 500 diretto nelle vicinanze di Berlino, ed un secondo di 300 diretto a Meulberg[7], tra Dresda e Lipsia. Io e Marcello, lo zio, e il gruppo completo dei paesani siamo riservati per il terzo scaglione, del quale non si conosce ancora la destinazione.

         Febbraio 1945

Il giorno 1, di buon ora, i tedeschi iniziano la rituale perquisizione, che precede ogni cambiamento di campo. Il giorno dopo bagagli in spalle ci rechiamo alla stazione. Il treno non è ancora pronto, ma si formerà presto, ci assicurano i tedeschi. Ed invece abbiamo aspettato tutta la giornata, sotto una pioggerella sottile e penetrante. Stanchi, affamati ed intirizziti dal freddo, con le coperte e la biancheria bagnate completamente, alla sera facciamo ritorno nelle baracche in disordine, senza più lettini e pagliericci. Il giorno dopo di nuovo alla stazione. Questa volta aspettiamo soltanto sino alle 2 del pomeriggio: finalmente arriva il convoglio. I carri sono in pessimo stato: le tavole delle pareti, del pavimento e del tetto sono spostate, consumate o rotte addirittura e lasciano penetrare vento, pioggia e freddo. Partiamo alla sera destinazione ancora ignota. Speriamo tutti che si vada a sud; poter fare un altro passo verso l’Italia o verso la Svizzera. Al mattino, dopo una nottata infernale trascorsa quasi tutta in piedi, abbiamo la sgradita sorpresa di trovarci diretti decisamente verso il nord. Dove ci vorranno portare? Intanto si fa una prima sosta per la distribuzione dei viveri: pane duro e nero, salame guasto e puzzolente per quattro giorni. Quasi tutti siamo colpiti da diarree o altre forme dissenteriche più o meno gravi. E così avanti per 4 giorni. Arriviamo finalmente a Meppen, in Westfalia, sui confini dell’Olanda. Mentre usciamo dalla stazione vediamo i cadaveri di due colonnelli morti per gli stenti, abbandonati lì sulla muratura dello scalo merci. Con gli zaini e i vari bagagli in spalla attraversiamo tutta la città, derisi e scherniti da molti, compatiti da pochi, compresi forse da nessuno. Eppure questi vecchi e queste donne che ancora si vedono per le città tedesche, avranno anch’essi i loro figli o i loro mariti in guerra, prigionieri o addirittura morti. Continuiamo la marcia verso il campo. Ad un bivio leggiamo scritto su una targa che dobbiamo percorrere ancora 12 km. Siamo usciti dalla stazione alle 8 del mattino, e siamo arrivati alla cinque del pomeriggio. Durante la marcia siamo stati mitragliati anche da un aereo inglese: per fortuna nessun incidente grave. Molti ufficiali, svenuti per la debolezza, sono stati caricati su dei carri in modo tale da farmi ricordare i monatti che caricavano gli appestati nei “Promessi sposi”. E successivamente il modo in cui siamo stati sistemati nel nuovo campo (Gross-Hesepe)[8] mi fa ricordare la scena degli appestati nel lazzaretto di Milano descritta nello stesso romanzo. Siamo in 550 e forse più persone in baracche che attrezzate bene potrebbero ospitare al massino 100 persone. Le baracche sono nude, senza lettini, senza tavole, qualche finestra senza vetro. Dormiamo tutti a terra. Lo spazio riservato a ciascun ufficiale è di 40 cm di larghezza per m. 1,80 di lunghezza. Il pavimento in legno ben presto s’inzuppa d’acqua e di fango, portati dentro da noi stessi che siamo costretti ad uscire più volte al giorno per recarci al gabinetto. In pochi giorni l’ambiente diventa sudicio, lurido, umido; s’incomincia sentire anche all’interno della baracca un certo odore d’orina, odore che di giorno in giorno diventa sempre più acuto. Nessuno reagisce a tanta lordura, per mancanza di forze; e se c’è qualcuno che potrebbe, non lo fa, perché sa che quelle poche forze che gli restano non può consumarle per delle cose di importanza non vitale. E così passano i giorni; il vitto diminuisce sempre più; e gli alleati avanzano sempre. Non so come, anche qui circolano notizie militari di ignota provenienza ma enormemente confortevoli. Il giorno 23, io, Osvaldo ed una quarantina di ufficiali, quasi tutti malati o in stato di grave deperimento, siamo trasferiti a Fullen, campo ospedale, a 10 km da Gross-Hesepe, in attesa che si formi un treno ospedale ed essere rimpatriati come inabili al servizio (D.U.). Facciamo la marcia di trasferimento a piedi, confortati da una pioggerella sottile e da un gelido vento. Arrivati dobbiamo attendere per più di un’ora, sempre sotto l’acqua, l’arrivo del maresciallo tedesco. Il nuovo campo rigurgita di malati di ogni sorta: tubercolosi, pazzi, mutilati. Il primo giorno siamo sistemati alla meglio insieme agli ammalati più gravi, T.B.C. forma aperta, quasi tuti soldati che lavoravano nelle miniere. La notte, sebbene stanchissimo, non riesco a dormire. Il posto che occupo è stato reso libero da un soldato morto qualche ora prima del nostro arrivo. In poche ore la notte ne muoiono altri due. Gli altri, quasi tutti, tossiscono rumorosamente e si lamentano presi dal delirio. Il secondo giorno, dopo una visita sommaria, mi mandano, insieme ad Osvaldo e a qualcun altro, in una baracca dove sono alloggiati ufficiali non malati, ma gravemente deperiti, tutti in attesa del famoso treno per D.U.

L’ambiente qui è migliore dell’altro. I lettini in legno sono pieni di cimici e pulci, contro le quali notte e giorno combattiamo epiche lotte. Il vitto è peggiorato di molto: ¾ di acqua calda con qualche pezzetto di rapa legnosa per minestra, circa 200 gr. di pane nero con 18 gr. nominali di margarina per cena. Niente più zucchero, mai marmellata.  Per non consumare energia, restiamo sempre sdraiati sul nostro tavolato e scendiamo solo per i bisogni più stringenti. Se non avessimo la speranza di un poco probabile rimpatrio e di una fine della guerra, non so come potremmo tirare avanti. Io sono abbattutissimo; mai, sino ad oggi, mi sono sentito così debole. L’organismo, già fiacco, ha risentito di questi ultimi sforzi: avrebbe potuto reagire con una buona alimentazione, ed invece, con questo vitto, continua a scendere giù paurosamente. Fino a quando resisterò?

        Marzo

Ho conservato, con indicibile sacrificio, 2 etti di riso e una scatoletta di sardine per mangiarle oggi, 7 marzo, S. Tommaso, secondo onomastico trascorso in prigionia. Con 50 gr. di riso ho comprato due sigarette; alla sera ho cucinato tuto pazientemente, poi mi sono rincantucciato nel mio lettino al 2° piano per gustare meglio quel piatto tanto raro. E infine ho fumato tutta intiera una sigaretta “nazionale”. Ho fatto quindi i preparativi per dormire, e, prima di chiudere occhio, constatando di non avere più alcuna risorsa, mi sono addormentato nell’infinita misericordia di Dio.

Il resto del mese trascorso lento e monotono. Caratterizzato dalla continua diminuizione e peggioramento del vitto. Il 23, domenica delle Palme, il mio carissimo amico Chinchiarelli, che aveva venduto il suo cronometro, mi dà quasi mezzo chilo di pane e qualche fetta di lardo, in cambio di un originale coltello che avevo avuto dai russi ad Hammerstein. È stato veramente un giorno di festa. Verso le sei del pomeriggio apprendiamo che gli alleati hanno sfondato nella nostra zona a Funsten (?). Allora a tutti torna un filo di vitalità, e cantiamo in coro le canzoni più belle della nostra patria lontana.

         Aprile

I primi del mese cominciamo a sentire i bombardamenti nelle vicinanze del nostro campo. Il cielo è sempre pieno di formazioni di velivoli che raggiungono i più vicini ed importanti centri tedeschi. Se usciamo dalle baracche e mostriamo chiaramente la nostra gioia, le sentinelle ci sparano addosso. Bisogna stare molto attenti in questi ultimi giorni. La sera del cinque sentiamo vicinissimo il rombo del cannone. Potranno combattere massimo ad una decina di km. I nostri volti riflettono la nostra immensa gioia. La notte vegliamo quasi tutti. Ma fatto strano, non si sente più alcun rumore di battaglia. Al mattino, alle 5,30, sentiamo un colpo di cannone sparato alle nostre spalle. Chinchiarelli scende dal letto per affacciarsi alla porta. Nel mentre la battaglia si è riaccesa. Sentiamo vicinissima la caratteristica voce della mitragliatrice. Esultiamo tutti. Chinchiarelli rientra gesticolando come un pazzo, e finalmente grida: “Le sentinelle tedesche sono scappate: siamo liberi.” A 500 m. da noi i carri armati americani inseguono i tedeschi in fuga.

 


 


[1] Si tratta di Fürstenberg sur Oder, attuale quartiere di Eisenhüttenstadt, dove era lo STALAG III B.

[2] A Przemysl vi erano due campi. Quello in questione è quello di Neribka, Stalag 327.

[3] Zopito Di Pietro ha sposato la sorella di Tommaso, Wanda.

[4] La località, con il nome polacco di Czarne, si trova nel nord della Polonia.

[5] Dovrebbe riferirsi a capitano Giacomo Capelli, il quale ha scritto nel 1964 a Tommaso Vallozza per chiedere suo notizie e di altri compagnia di prigionia. La cartolina porta la seguente dicitura: dott. Capelli Giacomo, Via Petrella 8, Milano.

[6] Si tratta dell’Offlag (campo per ufficiale) XIIID, Langwasser.

[7] Si tratta dello Stalag IV B Mühlberg, dal quale dipendeva anche il campo di prigionia Reservelazarett Stalag IV B Zeithain.

[8] Il campo Gross Hesepe e quello successivo di Füllen erano degli Zwieglager che dipendevano dallo Stalag VI C di Bathorn.