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   Prezzo: 7,00 euro

Pagine: 40


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 Francesca Santucci

 

Il ritorno  

 

 

                                                                                                                                                     

Ogni  stagione della vita, così come ogni cosa, ha un suo colore, ma il primo  colore che si manifesta in natura è il giallo.
Sono gialli i fiori selvatici  che occhieggiano tra le erbe  di marzo, le tremule primule annuncianti nei campi di primavera la vita che ritorna a sbocciare, ma sono gialli  anche i crisantemi che omaggiano i   defunti, simbolo della speranza che non rifiorirà, gialle le pagine dei libri antichi giacenti immoti nelle biblioteche, e gialla  la polvere  impalpabile che si deposita  quotidiana  sulle povere cose dell’uso comune.
E quando si ripensa al passato nella memoria esplode il colore giallo; giallo, dunque, anche il colore del passato. Assumono tale colorazione  le porte, le imposte, gli stipiti che freneticamente periodicamente si abradono, si ridipingono, si riverniciano, per eliminare, annientare, cancellare  la  patina  avorio degli anni che si sono susseguiti non senza lasciare tracce.
Ah, se  tornando sui propri passi si potesse egualmente  cancellare l’ingiallimento del cuore, povera cosa anch’essa deteriorata dal tempo, senza più sussulti eccezionali , senza più emozioni , solo il monotono suono del pulsare naturale altrove predisposto! Ma i ritorni  sono quasi sempre impossibili, talora biecamente deludenti.

*


S'arrampicò su, per l'erta della collina, tra i prati occhieggianti di primule gialle, col passo spedito e sciolto d'un adolescente che corre incontro alla vita pieno di speranze, sogni ed illusioni.
A quell'ora mattutina la strada era deserta, eppure densa di vita animale e vegetale: cani e gatti randagi in branco o solitari, merli corvini fischianti tra le erbe verdeggianti brinate di candida rugiada, buffi canarini cantori arricciati e paglierini in gabbie sospese ai trespoli disposti sui balconi, fragranze intense e differenti promananti dai giardini coltivati a diverse varietà di fiori e piante.
...Non dovresti andarci...
Un pensiero la colpì improvviso, affilato come una pugnalata dritta, precisa al cuore, più che un pensiero un ricordo, il ricordo di una voce consigliera, forse anche saggia, che tentava di metterla in guardia, di dissuaderla dal nostalgico viaggio di pellegrinaggio sui luoghi del suo passato, voce che, naturalmente, era rimasta inascoltata.
Le piacque ritornare in quella casa all'angolo del viale,  seminascosta da una vegetazione  insolitamente fitta per una strada di collina cittadina. Era ancora di colore  giallo, anche se in certe parti l'intonaco scrostato rivelava il grigio della precedente tinteggiatura.
Le piacque ritornarvi e le tornò gradito che potesse pensare ancora a lei come vi ave va pensato in tutti quegli anni: come al " villino giallo".
Villino giallo dalle finestre protette da griglie traforate in stile spagnoleggiante, con tendine di pizzo immacolato dietro ai vetri ben netti, gli enormi vasi di rose rosse e gialle trionfanti davanti al  portoncino principale e all'ingresso di servizio.
Un grosso cane di razza indefinita, dal pelo scuro e dagli occhi tondi color topazio, muscoloso e grosso, estroverso ed affabile, ma, all’occorrenza buon custode, sostava subito dietro al cancello che proibiva l'accesso alla  proprietà privata.
Le piacque ritornarvi, bussare al vecchio batacchio d'ottone, essere introdotta negli antichi saloni da un volto nuovo ed estraneo  e ritrovare una  gatta, certo non  la sua Lizzy  che, da innumerevoli anni, rincorreva  acherontie, parnassasius  e gonepterix nei campi di un altro signore (sicuramente ben più importante del suo padrone ),  ma un’ altra, stranamente egualmente elegante siamese,  battezzata con un nome di origine greca, testimonianza della spiccata predilezione per l'antichità classica dei nuovi proprietari  della casa : Medea.

*

                                                    

Medea la osservava  dall'alto di una mensola  con l'azzurro sguardo interrogativo, immobile e fiera  come la statua di un' antica dea greca, in attesa che la sconosciuta avviasse le presentazioni  e si  scusasse per essersi intromessa nel suo territorio, distendendo  la mano sul capo per una carezza  ed emettendo quegli strani schiocchi labiali che sempre producono gli umani quando si trovano in presenza degli affascinanti felini domestici.
Restarono così per un tempo indefinito, la donna a cercare di evitare lo sguardo imbarazzante dell'animale, guardando ora il soffitto, ora le pareti, ora i volumi ordinatamente allineati nell'enorme libreria a parete di mogano scuro, la  gatta  fissandola dritta, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.
Fu Medea a rompere il ghiaccio scagliandosi in terra, balzandole addosso e sistemandolesi  in grembo; l'istinto materno e l'amore per i gatti prevalsero  congiuntamente, sicché, dopo pochi secondi, si scoprì ad accarezzarla con tenerezza e familiarità.
Appoggiò la testa contro l'alto schienale della poltrona e, continuando le carezze al corpo serico e  arrendevole del siamese,  che dispiegava tutti i suoi ron-ron nelle più disparate tonalità, chiuse gli occhi e s'assopì.
Immediatamente una galleria di personaggi le si parò innanzi, in fila, ben allineati, come fossero in sua attesa da lungo tempo: riconobbe volti e figure care, facce dei luoghi della sua infanzia, amici e conoscenti, umani ed animali, e tutti erano sorridenti e della stessa età che avevano quando lei aveva abitato in quella casa in collina. Le belle stanze del villino giallo cominciarono ad animarsi e a produrre suoni, rumori, profumi e odori che ben riconosceva appartenere ad un tempo lontano...
Un cane abbaiava festoso tra i prati dietro al cancello, le rose rosse e gialle fiorivano in un effluvio così intenso da stordire, una gatta si esibiva in prodigiose acrobazie dietro ad una pallina legata ad un filo e trascinata per tutta la casa, in allegra euforia  i ragazzi ritornavano da scuola accolti dagli abbracci affettuosi del nonno che passeggiava nel giardino. Una figura minuta, dagli occhi celesti ed i capelli canuti annodati a crocchia bassa sulla nuca, la nonna, annunciava a gran voce il ritorno dei suoi nipoti dei quali menava tanto vanto, quasi fossero suoi figli. Tra poco sarebbe ritornato dal lavoro anche il capofamiglia, e sua moglie avrebbe chiamato tutti a raccolta.
Ci si sarebbe ritrovati intorno ad un grande tavolo ovale sistemato contro una portafinestra irraggiante il profumo intenso dei gelsomini rampicanti, abbarbicati lungo i muri del villino, confuso con quello delicato delle rose di prima fioritura e, nell'aria mite della fine della primavera, e nell'effluvio delle buone pietanze, tra il cicaleccio dei giovani, e i discorsi più seri degli adulti, nell'abbraccio caldo di tutta la famiglia sarebbe stato consumato il pasto. Infine anche la gatta avrebbe fatto la sua apparizione per reclamare qualcosa di aggiuntivo al pranzo da poco terminato nel cantuccio preferito, in solitudine e distacco, come si conviene ai filosofi e ai gatti...
Si riscosse giusto in tempo per accorgersi  che qualcuno era entrato nello studio e si scusava per l'invadenza dell’ animale beatamente dormiente  sul suo ventre.
Si riscosse anche la gatta e scappò via con l'espressione risentita di chi s'accorge di essersi lasciato andare a troppa confidenza con una sconosciuta. Le fu chiesto chi fosse e cosa desiderasse.
...Non dovresti andarci...
Di nuovo quel pensiero, quel ricordo, quella voce dal tono ammonitore, forse solo saggia.
Ed ora, cosa mai avrebbe risposto all'interlocutore che l'aveva sorpresa nel dormiveglia? Che  aveva solo voluto dormire ancora una volta in quella casa, sognare quei personaggi, rievocare dei ricordi, rivivere un'atmosfera ormai lontana nel tempo e nello spazio?

Ma l’incanto ormai era rotto. Medea sgattaiolò altrove, chissà dove! Sentì se stessa balbettare come da una distanza infinita, la udì farfugliare parole di scusa, di rincrescimento, infine sentenziare : -" Non avrei dovuto!...Ora devo proprio andare".
Uscì quasi correndo dalla stanza sconosciuta, dalla casa estranea, chiudendosi alle spalle un cancello arrugginito,  uscì tra il profumo dei nivei  gelsomini  spontanei e delle gialle  rose selvatiche , tra l'abbaio del cane anonimo e lo sguardo ormai indifferente di Medea.
Ridiscese la collina senza mai voltarsi.