nota critica al racconto di

Giuseppe Risica

 

La lezione di anatomia

 

La morte è un tabù, è il tabù per eccellenza; si evita di parlarne, infastidisce, del defunto si preferisce dire "è scomparso", piuttosto che "è morto". La morte è un tabù e la dissezione del cadavere è un tema forte, parimenti evitato; nonostante gli abusi cui, soprattutto nella nostra società, è sottoposto, il corpo continua ad avere, per i credenti e i non credenti, un'aura di sacralità, un'inviolabilità che incutono rispetto e timore. Chi manipola un cadavere non lo racconta volentieri e non si ascolta volentieri il racconto di chi manipola un cadavere, ci vuole coraggio a parlarne, troppo violente sono le emozioni che suscita l'argomento ma, in questo racconto, Risica è riuscito a trattare il tema della dissezione con estremo pudore,  evitando la fredda impersonalità del medico ma anche  l'esasperato coinvolgimento emotivo e il compiacimento letterario dell'orrore narrato, oscillando sempre, comunque,  fra il distacco e la partecipazione, fra l'uomo-medico e l'uomo-scrittore/poeta, anche se alla fine  è quest'ultimo a prevalere; ai macabri particolari  ha alluso, suggerendoli, accennandovi, lasciando intuire al lettore, mai indugiando nella descrizione dettagliata.
Abituati a pensare che la morte per noi è nulla, perché ogni bene e ogni male risiede nella possibilità di sentirlo: ma la morte è perdita di sensazione.(Epicuro). La perdita della sensazione, il morto non è più; da questa certezza muove la dissezione. E allora il gelo, la formalina, le bianche pareti, il tavolo di marmo, sono gli elementi che relegano il racconto in una dimensione di distacco, ma poi c'è il grido infinito del corpo aperto all'intrusione delle mani del medico, il respiro trattenuto, stavo a lungo in apnea,  il mare sconfinato, le onde, in cui si perde l'io narrante, il torace paragonato ad uno scrigno, ancor più prezioso degli altri scrigni, perché racchiude il motore pulsante della vita biologica ed affettiva,  e poi l'espressione l'aria profumata della primavera che sembra insufflare la poesia in un evento che nulla ha di poetico, mentre resta sempre ben vigile la scientificità dello studente che annota, registra, valuta. Infine, quando lo sguardo  risale sul corpo del morto per guardare davvero in faccia la morte, sollevando il pietoso lembo verde e facendo l'atroce scoperta, l'ultima considerazione appartiene al poeta, non al medico: gli avevano rubato anche i pensieri; più che una lezione di anatomia mi è sembrata una lezione di umiltà: l'uomo perplesso, stupito, inchinato dinanzi al mistero della vita e della morte.  

Francesca Santucci

(febbraio 2002)

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