nota critica

 

Lo specifico femminile nella

 pittura di Pinina Podesta'

 

La donna troverà una parte di ignoto!...Essa troverà cose strane,

insondabili, repellenti, deliziose; noi le prenderemo, le comprenderemo.

Rimbaud, dalla "Lettera a Paul Démeny"


L'attività di Pinina Podestà, artista siciliana schiva e riservata, che si muove, con grande inventiva ed abilità tecnica,   tra atmosfere surrealiste, ma sempre in personale ed originale chiave interpretativa,   abbraccia in sperimentazione totale l'Arte pittorica in generale, anche i murales e l'arte presepiale, ma soprattutto  la pittura ad olio.
Nei suoi quadri  ritroviamo figure in sospensione, paesaggi onirici, scorci reali o immaginari, contenuti dell'inconscio che, in fedeltà alla chiave interpretativa surrealista, che riteneva anche la pittura  strumento d'indagine interiore, sono esplorati e poi portati a galla, reinterpretati in sembianze di oggetti figurativi deformati, capovolti, decontestualizzati, filtrati attraverso giochi di fantasia e suggestioni personali, giacché, come ricordava George Sand: L'arte non è lo studio della realtà positiva, ma la ricerca della verità ideale.
Nei quadri “Il silenzio di Sophia”, “L'enigma”, “Intima mea”, “La mano che scrive vale la mano per arare ( Artur Rimbaud)” (scelti, invece di altri, fra i suoi tanti lavori, in esclusiva predilezione di un discorso squisitamente al femminile), attingendo ai meandri più nascosti dell'inconscio, agli anfratti più reconditi del suo io,   Pinina Podestà elabora, rielabora, crea secondo la propria sensibilità di Artista, ma anche secondo la peculiare  sensibilità di donna, e restituisce immagini dalle valenze, appunto,  nello specificatamo femminili.
Basti pensare al corpo di donna dal ventre ripieno del frutto, con le estremità troncate, in perfetto equilibrio, però rovesciato,  nel quadro “L'enigma” (che l'interpretazione psicoanalitica potrebbe a briglia sciolta decifrare); oppure al gesto che invita al silenzio (silenzio che un tempo fu costrizione, obbligo per la donna, e che ora si pone come  rivendicazione), di cui Pinina si rende in/consapevolmente interprete, giacché in un mondo ove troppo si parla (ed è messaggio antico, Si tacuisses, philosophus mansisses) sovente  il silenzio diviene scelta di saggezza e di virtù.
O ancora a “Intima mea”, dove, con la fronte solcata da rughe, l'espressione corrucciata,  dallo sfondo buio emerge un volto di donna luminoso, d'un pallore quasi spettrale, che mostra  una bocca che più bocca non è, ma,  in mille petali dischiusa, ha assunto una carnosa forma di rosa (pure "oggetto" specifico  femminile suscettibile di diversa interpretazione).
Come sempre accade ad ogni Vera opera dell'umano ingegno, nel momento in cui gli occhi del fruitore  contemplano la creazione essa si carica di significati soggettivi ed oggettivi, particolari e universali, in cui ciascuno ritrova proprie verità e verità assolute.
Nei quadri di Pinina possiamo leggere, pertanto, un immaginario certamente personale, ma anche  il generale sotterraneo universo femminile, con i timori, le angosce, le perplessità, le necessità delle donne,   che esprimono il loro disagio attraverso l'assenza e le mutilazioni (la parola taciuta nel quadro “Il silenzio di Sophia”, i  piedi  troncati in “L'enigma”, la bocca mancante in “Intima mea”, il resto del corpo invisibile in “La mano che scrive vale la mano per arare, Artur Rimbaud”), arrivando a percepire capovolta la loro parte più importante ed ambita, il corpo, fino a divenire solo volto corrucciato e, dopo aver invitato al silenzio, a ritrarsi sempre più,   quasi a scomparire, offrendo infine di sè solo una parte (ma quanto importante!): la mano.
La mano femminile (palesemente è di donna nel quadro  “La mano che  scrive che vale la mano per arare, Artur Rimbaud”), secolarmente abituata a blandire, accarezzare, consolare, ad essere dispensatrice d'amore e conforto, ad essere parte  per gli altri e non parte per sé, nella rappresentazione di Pinina Podestà riconquista se stessa in un unico importante gesto.
L'atto dello scrivere  diviene, allora, la rappresentazione  simbolica  della sua personale autorealizzazione come pittrice attraverso  il segno lasciato sulla tela, ma, per estensione, rappresenta  anche la traccia lasciata sulla realtà da tutte le donne che s'impongono, così, protagoniste.

 

Francesca Santucci

 

(marzo2003)

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