Maria Callas. Morte antieroica

 di una diva

di

Marinella Fiume

 

Maria. Mitica Maria. Maria e i suoi Pigmalioni, Maria dagli amori impossibili e distruttivi, Maria sempre in lotta con le calorie, Maria e la sua incredibile e deperibile voce, Maria sempre in giro per il mondo. Maria – Medea, Maria – Norma, Maria – Tosca. Più che una cantante lirica, più che una diva, più che un personaggio ineguagliabile. La divina. Le donne come me capiscono. Sanno perché, quel 16 settembre del 1977,  ha deciso di troncare la sua leggenda terrena, di sottrarsi al mondo proprio a quell’età, proprio in quel momento. Il 15 o il 17 o il 30 poco importa. Settembre è il mese più dolce, il più adatto. Qualcuno si interrogherà ancora sulle ragioni di quel “suicidio”, andandole a scovare in una vicenda o in un’altra delle sua vita pubblica e mondana, frugando in questa o quella circostanza particolare della sua vita privata. Noi non abbiamo bisogno di scavare fuori, le sue angosce le portiamo tutte dentro di noi e lì risiedono le ragioni che  tutti gli altri cercano nel posto sbagliato. Qualcuno ha detto e scritto: la solitudine. Noi sappiamo che non è così e che la solitudine può essere una condizione agognata per chi è stata troppo in compagnia e ha dentro abbastanza, a volte troppo, per farsi compagnia da sola. Qualche altro ha detto e scritto: i tempestosi rapporti coniugali, la vita sentimentale, gli uomini… Noi sappiamo che tutto ciò attiene ad una sfera della nostra vita che può farci deprimere, soffrire, procurarci tanto male, ma non intaccare la connaturata fiducia in noi stesse, nella nostra naturale esistenza. Qualcuno ha detto e scritto: il figlio nato e vissuto solo poche ore glielo avrebbe certo impedito. Noi sappiamo che per quanto desiderato, amato, protetto, un figlio rimane una cosa altra da sé, non ha niente a che vedere con la nostra connaturata esistenza, allo stesso modo di un figlio agognato e mai generato. Una donna è una donna a prescindere dai suoi rapporti familiari e umani, è intanto una persona in sé, che come gli altri esseri umani si relaziona socialmente e affettivamente, vive in un contesto, ne è condizionata e condiziona a sua volta. Ma c’è uno specifico legato al suo essere donna, e poi a questa o quella donna. Uno specifico che è la costruzione di sé che ogni donna fa da subito e progressivamente con gli anni rispetto ad un archetipo su cui si struttura. E allontanarsi dall’archetipo è sentito da ognuna come una menomazione, una vergogna, una colpa. Genera sensi di colpa e vuoti incalcolabili e incolmabili, come frane sotterranee che erodono silenziosamente e inesorabilmente il terreno e danno sulle prime un senso di instabilità e una leggera vertigine, finché anche l’ultimo strato leggero non sprofonda, tirandoti giù in un odore di gas, in un rivolo di sangue nella vasca da bagno,  nello stordimento e nel torpore dei barbiturici. Maria sentiva di allontanarsi  dall’archetipo via via che gli anni rendevano sempre più difficile il suo rapporto con il suo corpo e la sua voce, che quel passaggio obbligato e inaccettabile che è la fine dell’attività riproduttiva recava ogni giorno nuovi segni di decadimento e tracce come ferite sempre meno rimarginabili  al suo corpo curato di bella cinquantenne di classe, al suo spirito insofferente e ribelle eternamente adolescente, via via che la fine della giovinezza  incombente con la difficoltà di tenere a bada i chili di troppo, di cancellare rughe sempre nuove, di cauterizzare venuzze che spuntavano come oscene rosse ragnatele sulle cosce, di guerreggiare contro i muscoli cadenti dei seni e delle braccia, di esercitare la voce che cadeva negli acuti e andava incontro alle famose stecche sembrava riavvicinarla stranamente e nuovamente alla ragazzina greca grassoccia, goffa e miope, con la possente voce maleducata, la carnagione troppo olivastra e i  capelli troppo neri delle donne mediterranee, solo che ora bisognava tingerli spesso perché i fili d’argento rispuntavano in un batter d’occhio. E, bruciante, la sofferenza di una dimensione di  non ancora pienamente raggiunta adultità e la necessità di accontentarsi di un mito di every green mentre  un astioso calendario aggiungeva ogni anno un altro anno ai suoi anni. E ad ogni compleanno, malgrado fosse top secret l’anno di nascita, giovani ammiratori che portavano  rose rosse appassionate, dichiaravano il loro giovane amore in lettere infiammate, si effondevano in esternazioni estreme… E i teatri mondiali che cominciavano a preferire stelline meno note ma promettenti e procaci, come i suoi vecchi uomini, tutti più vecchi di lei, che corteggiavano in sua presenza  giovani segretarie o  stelline dello spettacolo. E la sera, com’era stanca la sera! Aveva solo voglia di  un bagno caldo e delle sue antieroiche pantofole. Di un paio di drink ingollati nel buio senza tanti complimenti e riti. Altro che feste e salotti! Altro che melodramma! Dormire. Dormire. Affidare a qualche barbiturico il  miracolo di un sonno pesante e senza  incubi. Si muore così, a  54 anni. Per non morire di rovinosa vecchiaia tra i fischi umilianti del loggione.