Bronte ……. un caso di omonimia?

 

di  Maddalena De Leo

 

 

E’ un fatto molto curioso che in una tragedia del nostro Gabriele D’Annunzio, La Gloria, sia presente un personaggio di nome Cesare Bronte, scritto naturalmente senza dieresi.
Tale dramma, scritto fra il febbraio e il marzo 1899, al suo apparire sulle scene non ebbe alcun successo di pubblico,  malgrado la protagonista femminile fosse la famosa Eleonora Duse. Ai fischi e le urla di quella prima rappresentazione seguì il successo del 1912 e poi del 1928, dovuto soprattutto al cast di attori che vi recitavano anche se obiettivamente bisogna ammettere che fra le opere teatrali del D’Annunzio, La Gloria sia fra quelle meno conosciute ed apprezzate. Ciò a causa della mancanza d’azione scenica che la definisce soprattutto come una tragedia tutta interiore, mediocre ed aulica per linguaggio ed intenzioni.
La parte più interessante della pièce è costituita dai primi due atti, proprio quelli in cui l’autore ha collocato la presenza minacciosa del personaggio Cesare Bronte, vecchio eroe confinato al letto di morte, la cui scomparsa dalla scena, alla fine del secondo atto, segna purtroppo lo scadimento e quindi l’insuccesso del dramma.
Nel primo atto si prepara l’azione attraverso il riferimento al personaggio che, anche se solo nominato, è presente in scena attraverso i numerosi attributi a lui riferiti. Viene infatti descritto come ‘vecchio’, ‘nemico’, ‘figlio della terra’ e in preda ad una passione senile che lo ha portato a guadagnarsi in tarda età le attenzioni di una giovane donna, la Comnèna, simbolicamente rappresentativa della gloria.
E’ però nel pur breve secondo atto che il personaggio s’impone all’attenzione del lettore di oggi (o eventuale spettatore) per il suo carattere forte e combattivo anche se ad un passo dalla morte. Il furore titanico che emana dal personaggio di Cesare Bronte nel momento in cui si sente tradito dalla donna che, senza scrupoli o incertezze, si è venduta all’altro uomo prima ancor della sua morte, ricorda tanto per alcuni aspetti a noi appassionati Brontë la figura di Branwell allorchè, malato e deluso, cerca in tutti i modi di recuperare l’interesse di Lydia Robinson per la sua povera persona, ammesso che questo ci fosse mai stato da parte della donna.
E’ solo un pensiero che ci colpisce la fantasia ma chissà che il D’Annunzio non sia stato a conoscenza di quella triste vicenda familiare o che almeno le opere delle tre sorelle inglesi non lo abbiano inconsapevolmente portato ad inventare un personaggio dall’odio tanto tenace e dai sentimenti forti.
La scelta del cognome Bronte, accordantesi anche con l’etimo greco, potrebbe non essere del tutto casuale.

           

(pubblicato in inglese in Brontë Society Transactions, Vol. 26, Part 1, aprile 2001)