dal libro "Donna non sol ma torna musa all'arte"

di Francesca Santucci

LOUISE LABE

(1524?-1566)

 

Nel clima poetico della Francia del Cinquecento, ruotante intorno ai modelli classici di Ronsard, la poetessa francese Louise Charlin, soprannominata Labé, nella società evoluta della sua città natale, Lyone, pur essendo influenzata dal petrarchismo, come tutti i poeti suoi contemporanei, seppe distinguersi per l'indubbio ed originale talento poetico.
Ebbe vita breve; nata a Parcieu (Lyone) probabilmente nel 1520, e morta nel 1566, di lei ci sono pervenute scarse e contraddittorie notizie poiché, a causa della sua vita spregiudicata, ebbe molti ammiratori ma anche molti denigratori, perciò risulta impossibile discernere tra le notizie fondate e quelle false.
Sappiamo che fu detta la Belle Cordiére perché figlia di un ricco commerciante di canapa e moglie di un mercante, e che tutti i suoi versi, di squisita fattura, furono composti tra il 1545 e il 1555.
La sua opera poetica, comprendente 24 sonetti, il primo dei quali curiosamente scritto in italiano, a testimonianza della grande ammirazione che nutriva per il Petrarca, e 3 lunghe elegie, ispirata ad un infelice amore giovanile, venne pubblicata nel 1555 dal tipografo Jean de Tournes, insieme al “Débat de la folie et de l'amour”, un dibattito in forma dialogata tra Amore e Follia, che ricalca i moduli di Pietro Bembo.
Nei suoi componimenti la poetessa lionese propose sovente il tema dell'amore infelice e dei contrasti dell'amore, intrecciando versi appassionati, intrisi di accesa sensualità o intessuti di antitesi, come nel sonetto Io vivo, io muoio,  mi brucio e m'annego.
Donna esuberante, appassionata, colta, dedita agli studi, ma anche all'esercizio delle armi nei tornei cittadini, per i contenuti è stata spesso considerata la Gaspara Stampa francese e, come la nostra poetessa, fu anche vittima di un amore infelice per un uomo indifferente e lontano, del quale invano attese il ritorno.
Nel sonetto tredicesimo, Oh! se fossi rapita, ritroviamo appunto un tema caro alla Stampa, tipico dell'amore idealizzato, il desiderio di morire tra le braccia dell'amante, interpretato da Louise Labé con toni di più accesa passione sensuale.
Louise Labé, nonostante certi eccessi di languori e abbandoni voluttuosi, costituì una voce diversa nel panorama poetico del tempo, garbata e gentile, provinciale, eppure personale e originale; per la raffinatezza dei suoi versi si colloca indiscutibilmente tra le figure di maggior spicco della lirica femminile d'Occidente.
 

IO VIVO, IO MUOIO, MI BRUCIO E M'ANNEGO

 

Io vivo, io muoio, mi brucio e m'annego,

ho caldo estremo mentre soffro il freddo.

La vita m'è troppo tenera e troppo dura,

ho grandi affanni confusi con la gioia.

Nello stesso tempo io rido e lacrimo.

Assai gravi tormenti nel piacere soffro,

il mio ben se ne va e giammai dura,

secco e verdeggio nello stesso tempo.

Così, incostantemente Amore mi conduce,

e quando penso d’ aver maggior dolore,

d’improvviso mi trovo fuor dell’affanno.

 

Poi quando credo la mia gioia esser certa,

e d’ aver raggiunto il desiderato bene,

ritorno, allora, al mio primo dolore.

 

OH! SE FOSSI RAPITA ...

 

Oh! se fossi rapita nel bel seno di colui

per il quale sto morendo; se invidia

non m'impedisse di vivere con lui

il resto dei miei brevi giorni;

se, abbracciandomi, mi dicesse:

" Amica cara, siam l'uno dell'altro lieti",

assicurandosi che mai tempesta, Euripo

o corrente finché vivremo separarci potrà;

se, tenendolo fra le braccia al collo avvinto,

com’è dall'edera avviluppato l'albero,

la morte giungesse, della mia gioia invidiosa,

quando lui dolcemente mi baciasse,

e il mio spirito sulle sue labbra fuggisse,

davvero io morirei, più che se vivessi, felice!

 

BACIAMI ANCORA, RIBACIAMI E BACIA

 

Baciami ancora, ribaciami e bacia:

dammene uno dei più saporosi,

dammene uno dei più amorosi,

te ne renderò quattro più ardenti che brace.

Ahimè, ti lamenti? Ma è un male che allevio,

donandotene altri dieci di quelli dolcissimi.

Così, intrecciando i tenerissimi baci,

l'un dell’altro l'altro in pien’ agio godiamo.

Allora per entrambi seguirà raddoppiata la vita.

Ed ognuno nell'altro più che in se stesso vivrà.

Permettimi, Amore, qualche follia pensare:

quando rinchiudermi in me stessa è il male

nessuna gioia donare mi è concessa,

se fuor di me non mi posso liberare.

(traduzioni di Francesca Santucci)

 

 

 Francesca Santucci