LetiziaLanza

 

 

 

 

 

da Vipere e demoni 

(pp. 28-30)

Tra tante spaventose immagini si distingue altresì Empusa – uno spettro infernale che prende corpo a suo piacimento, come si vede nelle Rane  aristofanee, dove il servo di Dioniso, Xantia, finge di imbattersi in una bestiaccia: «Ecco, per Zeus, io vedo un mostro immane. DIONISO. Di che genere? XANTIA. Terribile. E prende ogni forma: ora è un bue, ora un mulo, ora una splendida donna. DIONISO. Ma dov'è? Su, che le vado contro. XANTIA. Ma non è più una donna: è una cagna, ora. DIONISO. Allora è Empusa. XANTIA. Tutta la faccia risplende di fuoco. DIONISO. E ha una gamba di bronzo? XANTIA. Sì, per Posidone, e l'altra di sterco, sappilo bene» (44). Assai strane mescolanze, dunque, compongono la «metamorfica sembianza di Empusa: l'avvenenza muliebre s'avvicenda a svariate nature bestiali, il bagliore della bellezza s'ottunde nella cupezza dello sterco. Altrove Aristofane accentua solo i motivi ributtanti di quest'apparizione, è il caso di dirlo, infernale,  ma ad essi si mescola pur sempre una componente di lascivia, già allusa dalla forma di cagna, che è poi l'appellativo usuale dato alle donne vogliose. Prendiamo a mo' d'esempio le Ecclesiazuse  e in particolare la sua scena più grottesca, in cui s'illustrano le difficoltà di applicare una legge assai democratica: i belli ed i giovani di ambo i sessi devono, prima di darsi al bel tempo coi par loro, soddisfar le voglie di chi è brutto e vecchio. Vediamo, allora, uno sventurato giovinetto, che vorrebbe raggiunger la casa della fanciulla amata, conteso da un numero di donne vieppiù attempate e laide. Una di costoro viene definita, da questo primo amoroso malgré lui,  "una specie di Empusa tutta coperta di pustole sanguinolente"» (45). Ma è soprattutto in Apuleio che viene evidenziato «quel viluppo tra erotismo e sangue, che caratterizza Empusa, unitamente al riemergere del motivo stregonesco. Siamo all'inizio delle Metamorfosi  e Lucio, che non ha ancora assunto l'asinina sembianza, ascolta con diletto la storia straordinaria del primo dei suoi compagni di cammino, un certo Aristomene. Costui si trovò coinvolto nella vendetta di due maghe, una delle quali era stata amata e poi abbandonata da un tal Socrate, amico di Aristomene. La scena si svolge nottetempo e Aristomene guarda con terrore gli armeggi delle due streghe, non più nel fior degli anni, sul corpo della lor vittima – Socrate – che al momento giace in preda ad un sonno profondo. Una gli immerge sino all'elsa una spada nel collo e raccoglie il sangue che sgorga dallo squarcio in un otre; l'altra tampona la ferita pronunciando delle parole magiche che faran sì che il malcapitato, in seguito, si sveni del tutto. Il dramma, infatti, non si conclude subito, giacché la mattina appresso sul collo di Socrate non si vede traccia alcuna di ferita ed egli dice solamente d'aver sognato che lo sgozzavano. L'azione di queste lamiae  – così denomina Apuleio le due maghe – si maschera, allora, da visione onirica o meglio da cauchemar, salvo poi rivelarsi egualmente letale: Socrate non sopravviverà che poche ore alle manomissioni delle lamiae » (46) – o maghe che dir si voglia! Quanto, poi, al personaggio mitico di Lamia, Diodoro Siculo narra che essa «era una regina libica di non comune bellezza e che poi, a causa della crudeltà del suo cuore, il suo aspetto subì un mutamento, divenendo bestiale. Tutto ciò era accaduto perché le erano morti tutti i figli e Lamia, invidiosa della felicità delle altre madri, aveva ordinato che tutti i bimbi appena nati fossero immediatamente uccisi. Tale "strage degli innocenti" conosceva, però, qualche tregua ogniqualvolta la regina s'ubriacava» (47). Esiste tuttavia «un'altra versione, quella proposta dagli scolii ad Aristofane che, letta assieme a quella di Diodoro Siculo, spiega meglio il perché della crudeltà di Lamia. Anche secondo questa fonte Lamia è figlia di un re Libico, ma, in più, di lei s'invaghisce lo stesso Zeus. La liaison  non sfugge ad Hera, che, gelosa quant'altre mai, si vendica uccidendole man mano i figli avuti dal suo infedele consorte. Al che ne segue la voluttà per l'infanticidio, come in Diodoro Siculo. Né qui finisce l'efferatezza di Hera: costei, perché Lamia maggiormente si crucciasse, la rese insonne. Zeus, allora, presala a compassione, fece sì che Lamia potesse togliersi gli occhi a suo piacimento, concedendole, per soprammercato, di mutarsi in tutte le forme che voleva» (48).