LetiziaLanza

 

 

 

 

 “MEDUSA”

di Letizia Lanza, Studio editoriale Gordini, 2007

 

Estratti:

SYLVIA PLATH

pp. 36-39



Con enfasi ancor più viva afferma Plath in data13 ottobre 1959: «Ted è la mia salvezza. È unico, speciale: chi altro mi sopporterebbe? Š Impara da Ted: lui lavora, lavora, riscrive, lotta, si perde. Devo sforzarmi di raggiungere l¹indipendenza. Renderlo orgoglioso. Tenere per me dolore e scoraggiamento. Continuare a lavorare per il mio amor proprio: studiare le lingue, leggere avidamente. Lavorare, senza aspettarmi dei miracoli da un niente scritto di corsa» . E pochi giorni dopo, in data 22 ottobre: «Oggi una passeggiata dopo colazione, prima di mettermi a scrivere. Il colore incredibile degli alberi: caverne di giallo, piume rosse. Profonde golate di aria ferma e gelata. Una purificazione, un battesimo. A volte mi sembra possibile avvicinarmi al mondo, amarlo. Al caldo nel letto con Ted provo un conforto animale. Che cos¹è la vita? Per me sta così poco nelle idee. Le idee mi tiranneggiano: le idee del mio Super-Io livoroso di strega-regina, quello che dovrei, quello che sarebbe giusto che» .     
Mille accenti di fervore intenso (quanto patetico). Proteste di bene sconfinato, slanci di immagata riconoscenza.
E si ammucchiano e si accentuano fino al 18 maggio 1962, quando entra nella vita di Plath, ospite con il marito David Wevill a Court Green, Assia Gutmann ­ pubblicitaria, «donna affascinante, con grandi occhi grigio-viola, la voce roca e un accento intrigante Š Assia racconterà in seguito che l¹attrazione tra lei e Ted è immediata, e lo stesso riconoscerà trentacinque anni dopo Ted in Birthday Letters (Dreamers). Sylvia li sorprende insieme in cucina: stanno solo parlando ma lei evidentemente intuisce qualcosa» .
Il mese successivo Hughes rivede Assia a Londra e dà inizio alla loro relazione, ben presto (9 luglio) scoperta da Sylvia. A partire da quel giorno infausto, non ostante ogni tentativo di (re)azione, non ostante le apparenze che a tratti possono rassicurare, Plath si avvicina, senza alternativa veruna, alla tragica fine: vuole staccarsi per sempre dal marito e dal suo meschino abbandono ­ ma l¹amore, che la sovrasta come un «uncino», continua a straziarla: «Tutti i vincoli, in realtà, sono ganci che afferrano e tormentano le carni. La prende un grande desiderio di sprofondare, vorrebbe stare distesa, diventare un¹effigie sul sarcofago, al buio. È stanca, esausta Š Pensa al padre e anche se è già morto, lo uccide di nuovo, gli ficca un palo nel cuore Š Pensa alla madre Š È piena di odio. Soffoca per l¹odio. Cessando di amare l¹anima cade all¹inferno. Ha la febbre alta. Invoca il Lete, l¹oblio. Nella derelizione, nell¹abbandono vince il demonio. Indemoniata Sylvia si scatena nel galoppo come una bianca Godiva, scalpita, schiuma, è la freccia che vola. Aggiunge: suicida. E nell¹aggettivo anticipa la direzione che prenderà pochi mesi dopo la sua esistenza» .
Muore d¹amore dunque, la grande Sylvia Plath. E di vendetta.
Una vendetta che può sembrare crudele e assurda, una rivalsa atroce: destinata però a divenire, in qualche modo e misura, fulgente vittoria. Poiché la sua scomparsa immatura ­ inevitabile ­ sconvolge la vita dei familiari lasciati, anzi tutto di Hughes, che «si trincera dentro un ostinato silenzio Š Nulla sembra sottrarlo all¹isolamento mentale». E tuttavia, sempre nelle parole di Stefano Mangione, il suo assoluto mutismo «è solo apparente: morta Sylvia, Sylvia acquista nuova vita. Si staglia prepotente nei luoghi» quotidiani, «riempie le stanze, nude per la sua assenza Š si insedia nella mente e nel cuore di Ted, riempie il suo pensiero, determina e guida le sue azioni, è il fulcro della sua volontà. Sylvia, ora, è la sua poesia, è le composizioni sparse, che Ted raccoglie e ordina. Attraverso di lei ricompone i giorni, rende concreto e attuale il tempo astratto e trascorso. Sylvia è Ariel, il libro che Ted pubblica, nel 1965» .
Dunque. Per «lunghissimi anni ­ più di trenta ­ Ted Hughes tace». A dispetto di ciò (anzi: a motivo di ciò) «giorno dopo giorno, anno dopo anno Š si riappropria della sua vita, che è quella di Sylvia, la fa risorgere dalle ceneri, ricompone gli attimi, centellinandoli ad uno ad uno e li ricompone tempo, azione, emozioni, vita (anche nell¹accezione suprema della morte). E i giorni e le vicende riemergono e la loro storia diventa realtà attuale e viva, nella memoria e nel cuore, certo (poiché l¹opera di Hughes nulla ha dell¹attività del visionario: nasce dal sentimento, ma soprattutto dalla ragione critica) Š La stessa vita di Ted non sembra avere consistenza autonoma. Appare generata da quella di Sylvia e la stessa poesia si è, forse, concretizzata perché imposta più dalla sua volontà che da quella di Ted» .
Ecco, allora: «Sulle pagine di Lettere di Compleanno, non si dipanano parole, non scorrono versi, non si esplicano concetti e sentimenti attraverso il segno grafico o il suono della lettura, ma è il tempo concreto e attuale che si snoda, sono i corpi che vibrano, sono le menti che formulano e ideano, sono i sentimenti che attraggono. Ed ora ­ conclude Mangione ­ è la vita reale, perché chiarisce tutti i sensi del vivere, perché è vista in chiave consapevole e critica e scorre più lentamente attraverso la riflessione, che favorisce la valorizzazione degli aspetti, anche di quelli più insignificanti» .
Cotale dunque (blandamente consolatorio) il miracolo della risurrezione ( = il mea culpa?) compiuto, con l¹aiuto del tempo, da Hughes. Il cui influsso sulla genesi (e strutturazione) della scrittura plathiana fu, non si ripeterà mai abbastanza, tutt¹altro che secondario: un fascino meduseo (è il caso di dirlo), non tanto al livello di poetica quanto a un più profondo livello personale e psicologico ­ basti ricordare, dettaglio nient¹affatto trascurabile, che anche la seconda compagna, Assia, si suicidò , uccidendo pure Shura, la loro figlia quattrenne.



pp. 68-71

MEDUSA



Nell'epica così detta omerica, è risaputo, il capo reciso compare anzi tutto nel libro quinto dell'Iliade, dove Atena Š si appresta a indossare le armi micidiali, perfette: «Gettò sopra le spalle l'egida frangiata, orrenda, cui tutt¹intorno fanno corona il Terrore, la Lotta, la Violenza, l¹Inseguimento agghiacciante: v¹è il capo della Gorgone, dell¹orribile mostro, spaventoso, tremendo, prodigio di Zeus egíoco» (738-742).
Sull¹egida di Pallade, a «formidabile sintesi figurale della guerra», è dunque la maschera che più raggela e disgusta a occupare il «centro della composizione», a imporre «la circolarità del disegno. Il terrore e tutta la fenomenologia della paura, rappresentato da Phobos e da Iokè, sono, in questo senso, solo gemme che gli fanno corona Š Nucleo primigenio della violenza, è Medusa a stare in primo piano conquistando Š l¹attenzione» e rimbalzando «ai guerrieri l¹immagine più autentica del loro crimine ontologico» . Poiché, «orripilante», Medusa è nel contempo «orripilata» ­ costretta com¹è a vedere la sua stessa distruzione e ad esternare in tal modo un «orrore mostrato nei suoi effetti. La testa mozzata centripeta l¹attenzione e condensa i significati del simbolo. Da un lato, allude a una violenza che, accanendosi sul corpo», oltre a togliergli la vita «lavora a disfarne l¹unità figurale, a ferirlo e smembrarlo, staccarne la testa», d¹altro lato sottolinea che, a essere colpita, è «quell¹unicità della persona che già i Greci collocavano in questa parte del corpo» .
Di qui, istintivo, non può non scoppiare il «disgusto per una violenza che, non accontentandosi di uccidere perché uccidere sarebbe troppo poco, mira a distruggere l¹unicità del corpo e si accanisce sulla sua costitutiva vulnerabilità». Ciò che è in giuoco infatti, è non soltanto (!) la fine di una vita umana, «bensì la condizione umana stessa in quanto incarnata nella singolarità di corpi vulnerabili» .       
Per tornare all'Iliade, l'orrorismo gorgonico ricorre altresì nel libro undecimo, a fregiare «lo scudo grande, adorno, robusto, bellissimo» del comandante in capo acheo, Agamennone figlio di Atreo: «Correvano in giro dieci cerchi di bronzo e in mezzo v'erano venti borchie di stagno, bianche, nel centro una di smalto nerastro; faceva corona allo scudo la Gorgone, tremenda visione, che torvo guarda: intorno a lei Terrore e Disfatta» . Sul contrapposto fronte dei Troiani, al nobile Ettore è prevedibilmente riservato il diretto raffronto con l¹ibrido: «Avanti, indietro, i cavalli belle criniere girava Ettore intanto, con lo sguardo della Gorgone, d¹Ares flagello degli uomini» (8. 347 s.).
Nel poema iliadico, quindi, maschera e occhio gorgonici «operano in un contesto ben definito Š integrati all¹attrezzatura bellica, alla mimica, alla smorfia stessa del guerriero (uomo o dio) posseduto dal ménos Š concentrano in qualche modo la potenza di morte che irradia dalla persona del combattente ricoperto dell¹armatura e pronto a manifestare la straordinaria vigoria nella battaglia Š La folgorazione dello sguardo di Medusa agisce congiuntamente allo splendore del bronzo rilucente i cui barbagli, dall¹armatura e dall¹elmo, salgono fino al cielo e diffondono il panico» .
In particolare: la bocca dell¹ibrido, sbarrata, evoca il terrificante grido di guerra che Achille, vivido di fiamma, lancia a tre riprese, dal culmine del «fossato fuori dal muro» (18. 215), prima che si accenda la pugna attorno al defunto Patroclo: «Qui ritto gridò, e Pallade Atena al suo fianco urlava; fra i Teucri sorse tumulto indicibile. Come è sonora la voce della tromba che squilla quando i nemici massacratori assediano una città, così fu sonora allora la voce dell¹Eacide. E quelli, come udirono la bronzea voce dell¹Eacide, a tutti balzò il cuore; ed ecco i cavalli belle criniere subito voltarono i carri; dolori previdero in cuore; gli aurighi inebetirono, come videro il fuoco indomabile tremendo, sopra la testa del Pelide magnanimo ardente; e l¹accendeva la dea Atena occhio azzurro. Tre volte sopra il fossato gridò alto Achille glorioso, tre volte furon sconvolti i Troiani e gli illustri alleati. E dodici eroi fortissimi morirono allora, sotto i carri e per l¹aste lor proprie» (18. 217-231).