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                        Signore Gesù Cristo, 
                        nell’oscurità della morte Tu hai fatto che sorgesse una 
                        luce; nell’abisso 
                        
                                   della solitudine 
                        più profonda abita ormai per sempre la protezione 
                        potente del tuo amore…1 
                        
                        
                        
                        Joseph Ratzinger 
                        
                          
                        
                        Tunc 
                        milites praesidis suscipientes Iesum in praetorio 
                        congregaverunt ad eum universam cohortem.  
                        Et exuentes eum, clamydem coccineam circumdederunt ei  
                        et plectentes coronam de spinis posuerunt super caput 
                        eius et arundinem in dextera eius et, genu flexo ante 
                        eum, illudebant ei dicentes: “ Ave, rex Iudaeorum! ”. 
                        Et exspuentes in eum acceperunt 
                        arundinem et percutiebant caput eius. Et postquam 
                        illuserunt ei, exuerunt eum clamyde et induerunt eum 
                        vestimentis eius et duxerunt eum, ut crucifigerent.  
                        
                         “Allora 
                        i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e 
                        gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli 
                        misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una 
                        corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna 
                        nella destra; poi, mentre gli si inginocchiavano 
                        davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!". E, 
                        sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo 
                        percuotevano sul capo. Dopo averlo così schernito, lo 
                        spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi 
                        vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo."2 
                        
                         Ideata dai Fenici come sistema 
                        per uccidere in modo doloroso e spettacolare, tortura 
                        atroce che provocava una morte lenta e straziante dopo 
                        una lunga sofferenza, la crocifissione era pena tipica 
                        dell’impero romano, tanto diffusa nell’impero del  I 
                        secolo d. C. da far raccontare ad uno storico del tempo, 
                        Giuseppe Flavio,3 che mancava lo spazio per 
                        le croci e pure il legno per fabbricarle. Destinata dallo Stato a 
                        particolari categorie di condannati, schiavi, 
                        malfattori, assassini, stranieri, anche ai cristiani, 
                        con esclusione di coloro che godevano della cittadinanza 
                        romana (perciò San Paolo, diversamente da Gesù, fu 
                        ucciso col taglio della testa, invece all’apostolo 
                        Pietro la crocifissione fu praticata a testa in giù, su 
                        sua richiesta, poiché non si riteneva degno di morire 
                        della stessa morte del suo Maestro) 
                        era  usata largamente (nella rivolta di Spartaco fra 
                        Roma e Capua  si arrivò a crocifiggere più di seimila 
                        schiavi) per i criminali, per i peggiori delinquenti e 
                        per quelli che erano privi di diritti civili, perché 
                        infliggeva una sofferenza tremenda e perché provocava 
                        una derisione da parte del pubblico.  Per gli schiavi e per i ladri 
                        si usava una croce bassa, per i personaggi ribelli 
                        ritenuti più importanti  una croce più alta, per esporli 
                        bene alla vista di tutti, così come accadde a Gesù, 
                        collocato fra i due “ladroni”  (in realtà “malfattori”, 
                        così i Romani chiamavano i ribelli politici). Per qualche tempo si usò anche 
                        applicare alla croce una piccola sella, sedile, 
                        sulla quale il condannato poteva accasciarsi quando 
                        fosse allo stremo delle forze, ma questa costituiva solo 
                        un altro strumento di tortura dal momento che era 
                        acuminata verso l’alto. La trave che formava i bracci 
                        della croce era detta patibulum, la parte 
                        verticale era detta stipes crucis, era alta circa 
                        un metro e ottanta e veniva lasciata sempre sul posto 
                        dove si eseguiva la condanna  perché usata più volte. I 
                        bracci avevano uno spessore di circa otto centimetri per 
                        tredici, erano lunghi un metro e ottanta, pesavano 
                        quattordici chili, ed era il carnefice a tagliarli 
                        rozzamente. Al centro della trave c’era un largo incavo 
                        in cui veniva incastrato il pezzo verticale; secondo il 
                        modo in cui veniva infisso il patibulum, la croce 
                        aveva la forma che conosciamo oppure era a “T”. “Il soldato addetto alle 
                        flagellazioni si avvicinò e si curvò a guardare il volto 
                        della vittima, poi si spostò a un paio di metri alle 
                        spalle di Gesù; il flagello fu portato tutto 
                        all’indietro, poi sibilò in avanti. Le strisce di cuoio 
                        trassero dalla cassa toracica un suono cupo; i frammenti 
                        di osso e di catena s’avvinghiarono attorno al fianco 
                        destro del corpo e provocarono piccole emorragie sul 
                        petto. Un lamento sfuggì dalle labbra di Gesù. Fra i 
                        soldati corse un bisbiglio d’approvazione. Il flagello 
                        tornò all’assalto, più in basso, e lacerò con uno 
                        schiocco la pelle e la carne. Le labbra di Gesù 
                        sembravano mormorare una preghiera. La sferza ora si 
                        muoveva con ritmo lento e grave. Gli uomini che 
                        assistevano scherzavano e ridevano. Il tribuno fermò il 
                        carnefice e si accostò ad esaminare Gesù. Non lo toccò: 
                        si curvò vicino per vedere sino a che punto avrebbe 
                        ancora resistito senza morire. La respirazione di Gesù 
                        s’era fatta debolissima: il tribuno ordinò al carnefice 
                        di smettere. (da Il giorno in cui Cristo morì, Jim 
                        Bishop).”4  Il condannato veniva prima 
                        flagellato (“morte a metà” era chiamata la fustigazione 
                        romana, perché doveva fermarsi ad un passo dalla morte) 
                        da un soldato addestrato, con il flagellum  (una 
                        verga di legno corta, rotonda, con 
                        attaccate varie strisce di cuoio e all’estremità di ogni 
                        striscia era cucito un  anellino di ferro o un 
                        frammento d’osso), poi era costretto a portarsi dietro 
                        un palo, legato sulle spalle,  e a raggiungerne un altro 
                        conficcato nel terreno. Lì veniva inchiodato 
                        (inizialmente si usava legare i polsi del condannato con 
                        corde ma poi, siccome la morte giungeva con eccessiva    
                        lentezza, si optò per i chiodi) non per 
                        le mani ma per i polsi  (dallo studio della Sindone è 
                        stato possibile desumere che, in rispetto delle leggi 
                        dell’emodinamica, i chiodi non furono infilati nei palmi 
                        delle mani di Gesù, ma nei polsi, in modo che, per 
                        respirare, dovesse fare forza sul torace, perciò la 
                        morte  sopraggiunse più lentamente e la tortura fu 
                        maggiore), poi veniva inchiodato anche per i piedi,  
                        infine issato.  A questo punto iniziava una 
                        terribile agonia perché, gravando tutto il peso del 
                        corpo sulla cassa toracica, i polmoni si svuotavano 
                        d’aria ed il crocifisso iniziava a spasimare, a 
                        soffocare, allora si spingeva con i piedi per tentare di 
                        sollevarsi, ma di nuovo il peso lo tirava giù, e così 
                        via in una lunga e orrida sofferenza, fino alla morte 
                        che sopravveniva per asfissia, accelerata, talvolta, 
                        dal  crurifragium, la rottura dei femori, estremo 
                        supplizio che, con sbrigativa crudeltà, affrettava la 
                        morte dei condannati che tardavano a morire perché li 
                        faceva collassare. E’ proprio questo che accadde a 
                        Gesù  (e a tutti i poveretti martirizzati sulla croce) 
                        ed il Vangelo insiste, con particolari di dolorosa 
                        crudezza, sugli oltraggi che fu costretto a subire in 
                        quelle ore, alla mercé dei soldati, fra i dileggi della 
                        folla impazzita di cieca furia, prima malmenato, poi 
                        flagellato, poi, spogliato delle sue vesti, rivestito 
                        d’un manto rosso, con il capo coperto da una corona di 
                        spine, simboli offensivi delle sue qualità di “re dei 
                        Giudei”, infine inchiodato alla croce per i polsi. In genere l’agonia dei 
                        crocifissi durava a lungo, un giorno intero, anche 
                        giorni e giorni, quella di Gesù fu breve ma intensissima 
                        perché, stremato dalla flagellazione precedente, ed 
                        anche perché, postevi appena le labbra, aveva rifiutato, 
                        per affrontare il martirio in piena coscienza, di bere 
                        il vino misto ad incenso5 che gli avrebbe 
                        offuscato i sensi e reso meno doloroso il travaglio 
                        delle ultime ore, perciò per lui non fu 
                        necessario ricorrere al gesto “pietoso” del crurifragio. Nato in un luogo remoto della 
                        Palestina, a Betlemme, in Giudea, durante l’impero di 
                        Cesare  Augusto, Gesù visse a Nazareth, in Galilea, con 
                        i suoi genitori, Maria e Giuseppe, fino all’età di 
                        trent’anni, poi iniziò a predicare confermando i suoi 
                        insegnamenti con prodigiosi miracoli. Gesù era seguito con entusiasmo 
                        dalla popolazione, ma i depositari della legge e 
                        gl’interpreti delle Sacre Scritture non ravvisarono in 
                        lui il Messia, che pure attendevano ma che immaginavano 
                        un condottiero che avrebbe 
                        ristabilito un nuovo ordine fondando un nuovo regno 
                        sulla  terra (Gesù, invece, diceva che il Suo regno non 
                        era di questo mondo), perciò lo accusarono di sacrilegio 
                        e lo presentarono come un agitatore pericoloso per il 
                        potere romano. Catturato nell’orto del 
                        Getsemani fu condotto dinanzi al Sinedrio, il massimo 
                        organo di governo dei Giudei, presieduto dal Sommo 
                        Sacerdote e composto dagli anziani del popolo, dai 
                        principi dei sacerdoti e dagli Scribi (i dottori della 
                        legge). Fu il sommo sacerdote Caifa che 
                        lo processò come reo di empietà e lo condannò a morte 
                        però, siccome l’autorità romana aveva tolto al Sinedrio 
                        la facoltà di eseguire condanne a morte, riservandosi di 
                        decidere caso per caso sulle sentenze in base ai 
                        principi del diritto romano, Gesù fu  condotto da Ponzio Pilato, che  
                        in quel tempo era il procuratore romano della Giudea, il 
                        quale, riconoscendolo innocente, inizialmente fu 
                        riluttante a decretare una sentenza capitale in base ad 
                        accuse che apparivano inconsistenti.  Gesù si proclamava il Messia, e 
                        questo non era un reato, e diceva che  il suo regno non 
                        era di questo mondo, dunque non intaccava il potere 
                        dello Stato, il dominio di Roma, però si proclamava re, 
                        ed ecco il punto che impensieriva, perché, in pratica, 
                        si sostituiva all’autorità imperiale, ed i Romani 
                        temevano proprio che gli ebrei potessero sollevarsi ed 
                        eleggere un re: infatti recitava “re dei Giudei” la 
                        sentenza, apposta in alto sulla croce 6, 
                        secondo la quale era stato condannato.  Infine, dopo lunga esitazione, 
                        dopo aver cercato di delegare alla folla la risoluzione 
                        del dilemma,  chiedendo se volesse libero Gesù o 
                        Barabba, nel timore di suscitare disordini, e di essere 
                        giudicato dall’imperatore eccessivamente indulgente 
                        verso un sedizioso, ed anche perché, istigata dai capi, 
                        la folla ne reclamava la morte, di fronte alla sua 
                        stessa confessione di colpevolezza (alla domanda se 
                        fosse il re dei Giudei in pratica Gesù aveva ammesso di 
                        esserlo), combinandosi motivazioni religiose e politiche 
                        (l’accusa di empietà degli Ebrei e la negazione 
                        dell’autorità imperiale) Pilato approvò la condanna,  
                        declinando ogni responsabilità lavandosi pubblicamente 
                        le mani7. Dopo 18 ore dal suo arresto, 
                        prima flagellato e schernito, Gesù fu condotto sul monte 
                        Calvario (Gòlgota) 8, presso Gerusalemme, e 
                        qui sottoposto al supplizio della croce, sulla quale, 
                        dopo tre ore di agonia, morì, non la 
                        testimonianza del suo martirio, in passione e morte, 
                        trasmessa  attraverso  i Vangeli dagli Apostoli e 
                        l’operato dei suoi seguaci, non il suo messaggio, di 
                        amore, pace e fratellanza, sempre attuale e universale, 
                        per i credenti e per i non credenti, per i cattolici e 
                        per tutti quelli che abbracciano altri credi, non la 
                        sua parola di fede destinata a tramandarsi nei secoli. Di estrema portata 
                        rivoluzionaria  fu il suo messaggio, che investì la 
                        sfera spirituale, culturale e persino quella 
                        linguistica; in tempi in cui il rapporto degli uomini 
                        con la divinità era esteriore (bisognava riconoscerne la 
                        potenza, sottostarne alla forza, spesso capricciosa e 
                        ingiusta, per non incorrere nella loro vendetta, 
                        osservare dei riti) Gesù impose un rapporto di amore fra 
                        l’umanità e  Dio ed un’accettazione attiva della Sua 
                        volontà, perché anche la nuova fede assegnava a Dio una 
                        smisurata potenza, però, essendo il Padre di tutti gli 
                        uomini, necessariamente essi ne  contraccambiavano 
                        l’immenso amore; parlando di amore, di misericordia, di 
                        carità e fratellanza  capovolse, dunque, il rapporto fra 
                        Dio e gli uomini, ma, esigendo l’amore verso Dio, anche 
                        l’amore fra gli uomini. Fino ad allora i rapporti umani 
                        erano stati basati sulla legge del più forte che 
                        obbligava il più debole a soccombere, servendolo come 
                        schiavo, si comprende dunque facilmente come, affermando 
                        che non c’era distinzione fra liberi e schiavi, essendo 
                        gli uomini fratelli fra loro perché  tutti figli di Dio  
                        (perciò come tali si dovevano amare e sostenere, anche i 
                        nemici) venissero totalmente rivoluzionati pure i 
                        rapporti fra uomo e uomo. Inoltre, mentre la società 
                        antica  affermava che il ricco, il potente, era il 
                        beato, Gesù, nel discorso della montagna, aveva 
                        proclamato beati i poveri, gli afflitti, i pacifici, gli 
                        oppressi, i puri di cuore, dunque i veri miseri, degni 
                        di commiserazione, divenivano coloro che basavano sulla 
                        ricchezza e sulla casta la loro vita e la loro dignità.
                         Ed anche per quanto riguarda le 
                        donne, pur non dando indicazioni precise, non 
                        esprimendosi direttamente, in modo verbale, ma con atti, 
                        Gesù fu un innovatore, dimostrando una  libertà di 
                        pensiero  sorprendente per i suoi tempi (invece San 
                        Paolo indicò chiaramente, con severità,  alle donne 
                        cristiane, pur elevate in dignità e non considerate più 
                        serve o strumento di piacere ma compagne dell’uomo, 
                        quale fosse il comportamento da seguire, codificandone, 
                        in continuazione del pensiero ebraico, non l’uguglianza 
                        all’uomo ma la sottomissione).9 A quel tempo le donne ebraiche 
                        non vivevano in schiavitù però sicuramente la loro 
                        condizione non era delle più felici, sia per quanto 
                        riguarda la religione (erano costrette a pregare 
                        separate dagli uomini nel Tempio e nella sinagoga perché 
                        considerate impure nei periodi mestruali e del parto),  
                        sia  per quanto riguardava la Legge (non potevano 
                        chiedere il divorzio). Gesù considerò le donne uguali 
                        agli uomini, perciò non le discriminò, a tutte si 
                        avvicinò, alla peccatrice, all’adultera, da tutte si 
                        lasciò seguire, le chiamò ad un posto nuovo nella 
                        comunità, consentì anche il battesimo, che a quei tempi 
                        avveniva per immersione,  superando così i problemi di 
                        pudore, perché non le riteneva impure (si pensi 
                        all’episodio narrato nel Vangelo da Marco, La figlia 
                        di Giairo e l’emorroissa, in cui Gesù è toccato per 
                        il mantello da una donna affetta da emorragia da dodici 
                        anni) 10. Le donne ricambiarono la sua stima 
                        e il suo amore, amandolo a loro volta, servendolo, 
                        assistendo alla sua Resurrezione, abbracciando in totale 
                        adesione il suo credo e patendo le stesse persecuzioni 
                        riservate agli uomini che avevano aderito al 
                        Cristianesimo, pagando anche con la vita: testimonianza 
                        del  martirio femminile documenti di straordinario 
                        valore sono gli Acta Martyrum Scilitanorum, gli 
                        atti del processo dei dodici cristiani di Scili, 
                        cittadina della Numidia, processati e condannati a morte 
                        per decapitazione nel 180 a Cartagine, che riportano che 
                        ben cinque dei dodici arrestati erano donne (Nartzalo, 
                        Donata, Vestia, Seconda, Generosa) e la Passio 
                        Perpetuae et Felicitatis, (Passione delle sante 
                        Perpetua e Felicita), processate ed esposte alle 
                        fiere in Africa nel 203.11 Ma l’uguaglianza fraterna di 
                        tutti gli individui, uomini e donne, e il disprezzo  per 
                        gli onori e le ricchezze affermate dai cristiani si 
                        scontravano con la mentalità dei Romani, che negavano 
                        l’uguaglianza (basti pensare alla condizione degli 
                        schiavi) e che godevano dei piaceri effimeri della vita; 
                        inoltre gli Ebrei attendevano un Messia, l’inviato da 
                        Dio preannunciato dai Profeti, un eroico guerriero che 
                        avrebbe redento gli uomini dal peccato,  punito i 
                        malvagi, cacciato via i gli oppressori (i Romani) e  
                        ricostruito l’antico regno d’Israele, instaurando, così 
                        il regno del Signore sulla terra, ma Gesù si presentò, 
                        sì, come il Redentore degli uomini, però affermò che il 
                        suo regno non era di questo mondo, deludendo, così 
                        l’aspettativa degli Ebrei. Inoltre predicò l’obbedienza 
                        ai comandamenti che stavano alla base della Legge 
                        religiosa ebraica ma disapprovò fortemente 
                        l’interpretazione che ne davano i capi religiosi 
                        d’Israele, perciò fu accusato dai Farisei, rigidi 
                        custodi della legge e della religione ebraica, di 
                        istigare il popolo alla rivolta; combinandosi, così, 
                        ragioni religiose e politiche,  fu arrestato, torturato 
                        e condotto a morte quale falso profeta.  
                        
                        
                        A sexta autem hora tenebrae 
                        factae sunt super universam terram usque ad horam nonam.
                         Et circa horam nonam 
                        clamavit Iesus voce magna dicens: “ Eli, Eli, lema 
                        sabacthani? ”, hoc est: “ Deus meus, Deus meus, ut quid 
                        dereliquisti me? ”. Quidam autem ex 
                        illic stantibus audientes dicebant: “ Eliam vocat iste 
                        ”.  Et continuo 
                        currens unus ex eis acceptam spongiam implevit aceto et 
                        imposuit arundini et dabat ei bibere.  Ceteri vero 
                        dicebant: “ Sine, videamus an veniat Elias liberans 
                        eum”. Iesus autem iterum clamans voce magna emisit 
                        spiritum. 
                        
                        
                        
                        
                         
                        
                        “Da mezzogiorno fino alle tre 
                        del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.  Verso le 
                        tre, Gesù gridò a gran voce: Elì, Elì, lemà sabactàni?, 
                        che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai 
                        abbandonato?". Udendo questo, alcuni dei presenti 
                        dicevano: "Costui chiama Elia". 
                        E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, 
                        imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli 
                        dava da bere. Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se 
                        viene Elia a salvarlo!". E Gesù, emesso un alto grido, 
                        spirò. 12 
                        
                        Non invano Gesù era morto sulla 
                        croce; parlando di pace, di misericordia, di carità, di 
                        perdono delle offese, di amore verso il prossimo, di 
                        uguaglianza di tutti gli uomini, opponendo alla legge 
                        dell’odio la legge dell’amore, aveva pronunciato parole 
                        nuove destinate a tramandarsi nei secoli, illuminando il 
                        faticoso cammino dell’umanità. “Andate dunque e 
                        ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del 
                        Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando 
                        loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, 
                        io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del 
                        mondo”: così aveva detto agli Apostoli quando era 
                        risorto, ed essi obbedirono, si sparsero per il mondo a 
                        diffondere il Vangelo, ossia la Buona Novella, 
                        predicando prima in Palestina e nelle terre più prossime 
                        (Siria, Asia minore, Egitto), poi a Roma, cuore del 
                        mondo, dove a portare il messaggio evangelico arrivarono 
                        Pietro e Paolo, che vi fondarono la più numerosa 
                        comunità cristiana primitiva e pure vi morirono, 
                        martirizzati come il loro Maestro. Per molti anni dopo la morte di 
                        Gesù la diffusione della Buona novella era stata 
                        affidata alla predicazione degli Apostoli poiché era 
                        consuetudine ebraica tramandare oralmente le dottrine 
                        religiose, scientifiche e giuridiche ma, verso la metà 
                        del I secolo, Matteo il pubblicano, suo Apostolo, volle 
                        scriverne la vita per dimostrare al mondo cristiano la 
                        natura divina del Maestro, testimoniata con la sua venuta 
                        al mondo, con la Passione e la Resurrezione, e 
                        l’avverarsi delle antiche profezie bibliche. “Vangelo” è parola che deriva 
                        dal greco euanghélion, “lieto annuncio”, “buona 
                        novella”, e originariamente non indicava il libro ma 
                        l’annuncio del messaggio di salvezza portato dal Cristo 
                        e predicato dagli Apostoli; successivamente  vennero 
                        chiamati “Vangeli”, “libri di buona novella”, i libri 
                        che parlavano delle vicende di Gesù che, con le
                        Lettere di san Paolo, gli Atti degli Apostoli 
                        e l’Apolicasse formano il Nuovo Testamento 
                        e, insieme all’Antico Testamento (gli Ebrei 
                        credono solo a quest’ultimo dal momento che non 
                        riconoscono la divinità del Cristo ed ancora attendono 
                        il Messia, l’unto dal Signore, Messia 
                        dall’ebraico masǐab, unto, in aramaico mesǐha, 
                        in greco christòs, in allusione all’unzione sacra 
                        dei re) costituiscono  la Bibbia (dal greco ta biblía, 
                        “i libri”, scritti in ebraico, aramaico e greco), il 
                        compendio dei  libri sacri della Cristianità, in tutto 
                        73, scritti nello spazio di sedici secoli, da autori 
                        diversi, quasi tutti ebrei. Circolarono molti “Vangeli” 
                        dopo la morte di Gesù, molte raccolte che testimoniavano 
                        la sua vita, ma la Chiesa ne riconobbe solo quattro, 
                        tutti composti nella seconda metà del I secolo, cioè 
                        poco dopo la morte (i tre Vangeli di Matteo, di Marco e 
                        di Luca,  detti “sinottici”, dal greco sýnopsis,
                        “visione d’insieme” perché, su un unico sfondo storico,  
                        riferiscono tutti più o meno le stesse vicende e 
                        presentano affinità e concordanze, e quello di Giovanni 
                        che non solo racconta le vicende del Cristo, ma ne 
                        interpreta in termini mistici la figura e l’opera) e 
                        rifiutò tutti gli altri come apocrifi. Il latino dei Vangeli non è 
                        quello classico usato dai grandi scrittori romani, ma un 
                        latino più affine a quello parlato, meno ricercato, più 
                        vivace, più vero, però i Vangeli non furono scritti in 
                        latino, ma in aramaico e in greco, e a curarne la 
                        traduzione fu San Girolamo, uno dei padri della Chiesa, 
                        scrittore fecondo, tipico rappresentante dell’occidente 
                        cristiano, che seppe fondere mirabilmente la cultura 
                        pagana e quella cristiana. Nato in Dalmazia verso il 345 
                        d. C. (e morto a Betlemme nel 420) da una famiglia di 
                        agiate condizioni, ricevette un’accurata educazione 
                        grammaticale e, allievo di Elio Donato a Roma,  
                        ne ereditò l’ammirazione per i classici della 
                        letteratura pagana.  Dopo il battesimo, attratto 
                        dalla vita ascetica, condusse vita da eremita nel 
                        deserto di Calcide, ritornato poi a Roma svolse per 
                        qualche anno l’incarico di segretario di papa Damaso, 
                        dal quale ebbe l’incarico di tradurre in latino la 
                        Bibbia, compito al quale attese con un lavoro durato tre 
                        anni, così preciso dal punto di vista filologico da 
                        produrre una nuova traduzione che sostituì tutte le 
                        altre nel mondo cristiano, la Vulgata editio o, 
                        semplicemente, Vulgata (cioè “popolare”), l’unica 
                        approvata dalla Chiesa. Con perizia ed accuratezza 
                        filologica tradusse, dunque, i
                        Vangeli dalle 
                        lingue originarie in cui erano state scritte dai quattro 
                        evangelisti; San Matteo compose il primo Vangelo 
                        in aramaico, la lingua del suo popolo, parlata allora in 
                        Palestina e dallo stesso Gesù (di cui i Vangeli 
                        conservano qualche parola, come Messia, Pasqua, 
                        Gòlgota), San Marco, discepolo di San Pietro, 
                        scrisse in greco intorno al ’70, San Luca, discepolo di 
                        San Paolo, pure scrisse in greco intorno all’80, ed 
                        anche San Giovanni scrisse in lingua greca intorno al 
                        100. Nonostante fosse  un “ciceroniano”, 
                        entusiasta ammiratore dello stile magniloquente del più 
                        grande fra gli scrittori latini, San Girolamo nella sua 
                        traduzione accantonò il grande modello per non tradire la semplicità dei Vangeli e 
                        perché intendeva rivolgersi alla maggioranza del 
                        pubblico, cioè  al popolo meno istruito (che non avrebbe 
                        compreso la lingua classica che già andava evolvendosi 
                        verso le nuove forme che sarebbero poi divenute le 
                        lingue neolatine, ed anche perché, per la novità del 
                        messaggio cristiano, doveva necessariamente usare nuovi 
                        vocaboli o affidare nuovi significati a vecchi 
                        vocaboli), è per questo che la lingua latina dei Vangeli 
                        è semplice e chiara ma riesce a toccare la sensibilità 
                        ed il cuore di tutti con soffio di autentica e commossa 
                        poesia. Il latino dei Vangeli si 
                        diversificò, dunque, da quello classico, in conseguenza 
                        della rivoluzione spirituale del Cristianesimo che 
                        incise profondamente anche sul piano linguistico 
                        introducendo neologismi come salvare (dies) domìnica (il “giorno del Signore”), papa; 
                        parole derivanti dall’ebraico, come Messia (masǐab), 
                        e, soprattutto, dal greco: angelus, propheta, 
                        apostulus, apostata, episcopus, baptizare, 
                        evangelizzare, amen, ecclesia, parabola. Nuovo significato assunsero 
                        anche molti vocaboli latini, come Gratia,
                        Verbum, Spiritus, Regnum; communio, che nel latino classico indicava  “unione”, “comunanza”, 
                        cominciò a significare rendere partecipe, 
                        condividere, comunicarsi; captivus non 
                        significò più “prigioniero” ma, dalla locuzione
                        captivus diaboli, usata dai cristiani per indicare 
                        una persona malvagia, assunse il significato di 
                        “cattivo”; infernum  per i Romani era la sede 
                        sotterranea dei morti, per i cristiani divenne il luogo 
                        della dannazione eterna; pagani erano gli 
                        abitanti dei pagi, i villaggi di campagna, 
                        divennero i “non cristiani”, i “pagani”; 
                        peccatum i Romani chiamavano un errore non grave, 
                        con il Cristianesimo cominciò ad indicare la violazione 
                        della legge morale e divina, l’offesa fatta a Dio; la
                        virtus, qualità propria dell’uomo vero (da vir,
                         uomo) restrinse il suo significato ai soli valori 
                        morali.  Il mutamento di significato di 
                        un vocabolo ebbe spesso origine anche da un preciso 
                        riferimento ad un passo del Vangelo, come nel caso del 
                        verbo tràdere, “consegnare”, che assunse il 
                        significato di “tradire” dal fatto che Giuda tràdidit, 
                        cioè  “consegnò”  Gesù ai suoi nemici. Il nuovo latino, il 
                        latino-cristiano, si modificò, semplificandosi, anche 
                        nella sintassi; ad esempio sulla subordinazione 
                        prevalse  la coordinazione (tipica, in tal senso, è la 
                        proposizione infinitiva costruita non più con 
                        l’accusativo e l’infinito ma con quia o quod e l’indicativo o il congiuntivo), e il complemento 
                        di tempo determinato fu espresso non più con l’ablativo 
                        semplice ma con in e l’ablativo (in illo 
                        tempore, in illis diebus, al posto di illo 
                        tempore, illis diebus). Il messaggio cristiano, 
                        fervidamente predicato, e chiaramente veicolato dai
                        Vangeli, cominciò a diffondersi  rapidamente in 
                        tutto il vasto impero romano, favorito dall’unificazione 
                        dei popoli del bacino del Mediterraneo, dalla comunanza 
                        della lingua (il latino) e del diritto romano, ed anche 
                        dalla pace e dalla sicurezza che l’impero offriva, e si 
                        trovò a corrispondere pienamente al bisogno di  
                        spiritualità di tutti coloro che erano insoddisfatti del 
                        carattere superstizioso e ritualistico delle religione 
                        degli dei e dell’astrattezza delle dottrine filosofiche; 
                        inoltre parlava al cuore di tutti, agli umili, ai 
                        poveri, ai sofferenti, agli schiavi, apportava parole di 
                        consolazione e di speranza a coloro colte, negli  
                        ambienti della corte imperiale e persino tra le file 
                        dell’esercito.  Tuttavia lo
                        spirito di pace e 
                        di fraternità che animava il Cristianesimo si opponeva 
                        troppo ai concetti dell’antico mondo pagano e romano, ed 
                        anche se i cristiani non intendevano affatto abolire 
                        l’impero romano (del quale riconoscevano 
                        la grandezza arrivando al punto di pensare che fosse 
                        stato voluto dalla Provvidenza per agevolare la 
                        diffusione del Vangelo e che i due destini, quello dello 
                        Stato e quello della religione, fossero congiunti) ma 
                        solo farvi penetrare gli ideali evangelici,  sembrò che, 
                        negando all’imperatore ogni autorità divina, non 
                        ubbidissero e non venerassero più gli imperatori, e che 
                        la nuova religione, insinuatasi anche fra i soldati, 
                        indebolisse la disciplina e la combattività 
                        dell’esercito.  Allora i cristiani cominciarono 
                        ad essere perseguitati, inizialmente non per la diversa 
                        religione, ma perché accusati di essere  gli autori 
                        dello spaventevole incendio di Roma del 64 d. C. (era 
                        stato Nerone, per allontanare da sé il sospetto di 
                        esserne l’artefice, ad attribuirne la responsabilità ai 
                        seguaci del nuovo credo che gli apostoli Pietro e Paolo 
                        erano andati a diffondere nell’Urbe); in seguito furono 
                        accusati dal popolo d’infanticidio, di orge incestuose, 
                        di banchettare con carne umana, dalla parte più colta 
                        della società di voler distruggere la religione degli 
                        avi, fondamento  dello Stato romano, e di rifiutare di 
                        prestare atti di culto al Genius 13 
                        dell’imperatore, perciò, per poter praticare il loro 
                        credo, furono costretti a nascondersi nelle catacombe 
                        (gallerie e stanze nel sottosuolo, che diventarono le 
                        prime chiese ed i primi cimiteri della cristianità), e 
                        poi a subire anch’essi il martirio. Per due secoli e mezzo furono 
                        tormentati, con particolare crudeltà soprattutto da 
                        Nerone, che organizzò “giochi” dove i cristiani venivano 
                        sbranati da belve feroci, bruciati vivi o crocifissi, da 
                        Domiziano, che pure infierì sui cristiani (anche su 
                        Flavia Domitilla, sua parente)  che si rifiutavano di 
                        venerare l’imperatore e di offrire incenso proprio a lui 
                        che, secondo la formula delle monarchie orientali, aveva preteso di 
                        essere onorato come dominus et deus e che, a 
                        partire  dal 95,  li fece perseguitare nella convinzione 
                        che la nuova religione violasse le leggi dell’impero e 
                        sovvertisse le istituzioni; le accuse rivolte ai 
                        cristiani erano, infatti, quelle di introdurre a Roma 
                        una religione straniera vietata dalla legge, di 
                        rifiutarsi di prestare il culto all’imperatore e di 
                        riunirsi in segreto con scopi sediziosi I cristiani furono 
                        imprigionati, arsi vivi, dati in pasto alle belve, 
                        processati per “empietà” (rifiuto di riconoscere e 
                        praticare la religione ufficiale dello stato) e “lesa 
                        maestà” (rifiuto di riconoscere la maestà divina 
                        dell’imperatore e di offrire sacrifici al suo Genius), 
                        torturati, crocifissi, ma le persecuzioni non 
                        arrestarono il cammino della fede e il Cristianesimo 
                        continuò a diffondersi finché, unitesi alle ragioni 
                        spirituali anche quelle  politiche (l’utilità di 
                        eliminare una grave causa di divisione tra i sudditi 
                        dell’Impero già logorato da tante rivalità), gli 
                        imperatori compresero che era necessario accettare il 
                        grande evento. Fu Costantino, la cui madre 
                        Elena già aveva abbracciato la nuova fede, a rendersi 
                        conto che il Cristianesimo non sarebbe stata piegato 
                        nemmeno dalla più spietata persecuzione e, abile uomo 
                        politico, a capire che la sua forza spirituale avrebbe 
                        potuto tenere unito l’impero, e così nel 313 d. C. emanò 
                        l’Editto di Milano col quale consentiva a tutti i 
                        sudditi di professare liberamente la loro religione, e 
                        fu Teodosio, l’ultimo dei grandi imperatori, cristiano 
                        egli stesso, a dichiararlo, nel 380 d. C. con l’Editto 
                        di Tessalonica, religione di Stato, ad ordinare la 
                        chiusura dei templi pagani e ad abolire il culto degli 
                        dei.  Sostenendo ed affermando con 
                        coraggio le loro idee, fino al martirio, i seguaci di 
                        Gesù avevano dimostrato una forza morale incredibile, 
                        sconvolgente per la cultura romana che non aveva mai 
                        proposto grandi ideali spirituali, essendo più incline 
                        al pratico e al politico; ora che, finalmente, il 
                        Cristianesimo era la religione dello Stato romano,  
                        potevano liberamente professarlo e proclamare al mondo 
                        intero le tre grandi virtù: la fede, la speranza, la 
                        carità. Allora il Cristianesimo non 
                        rifiutò la Romanità,  le si strinse in feconda alleanza 
                        (ma non ne era mai stato in contrasto ed aveva già 
                        prodotto una lingua ed una letteratura latino- 
                        cristiana), donandole la sua nuova spiritualità ed 
                        accogliendo quanto di altamente umano v’era nell’antica 
                        e gloriosa civiltà romana. 
                        
                        
                                          
                          Francesca Santucci 
                        
                        
                        
                        1) Joseph Ratzinger, Preghiera , in Settimana Santa, 
                        Queriniana, Brescia, V edizione, p. 84. 
                        
                        
                        
                        2)Vangelo Secondo Matteo vv.  27-32 in La Sacra 
                        Bibbia.  Edizione ufficiale della Conferenza 
                        Episcopale Italiana, Roma, 1974. 
                        
                        
                        
                        3) Gérard Bessière, “Gesù, il dio inatteso”, Universale 
                        Electa Gallimard, Paris 1994, p. 13. 
                        
                        
                        
                        4) Jim Bishop, Il giorno in cui Cristo morì, Milano, in G. B. Bianchi-L. Lamberti, Voci 
                        moderne e antiche, 1, Garzanti , Milano 1968, pp.335-336. 
                        
                        
                        
                        5) “…gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma 
                        egli, assaggiatolo, non ne volle bere”,  Vangelo Secondo 
                        Matteo, v 34, in La Sacra Bibbia, cit. 
                        
                        
                        
                        6) Era obbligatorio per i Romani riportare in alto sulla 
                        croce la sentenza con la quale il crocifisso era stato 
                        condannato. 
                        
                        
                        
                        7) Fu dagli Ebrei che Pilato apprese il gesto, istituito 
                        da Mosè nel Deuteronomio, di lavarsi le mani, al 
                        quale si ricorreva in caso di assassinio misterioso. 
                        Spettava agli anziani del villaggio più vicino al luogo 
                        in cui era stato compiuto il delitto sacrificare una 
                        giovenca e lavarsi le mani sull’animale, pronunciando la 
                        formula di rito: ” Le nostre mani non hanno sparso 
                        questo sangue, né i nostri occhi hanno visto”. 
                        
                        
                        
                        8) Calvario è la traduzione dell’aramaico Gòlgota e 
                        significa “cranio”, dalla forma  del rialzo roccioso 
                        tondeggiante simile, appunto, ad un cranio. 
                        
                        
                        
                        9) San Paolo La prima Lettera ai Corinzi, 11,22, 
                        vv.7.14 e San Paolo, Prima lettera a Timoteo, 2, 
                        15,9-18, (Comportamento delle donne), in La 
                        Sacra Bibbia, edizione ufficiale della Conferenza 
                        Episcopale Italiana, Roma, 1974. 
                        
                        
                        
                        10) Dal Vangelo secondo Marco, 5, 10, vv. 25-34. 
                        
                        
                        
                        11) Perpetua, di nobile famiglia, quando subì il 
                        martirio aveva ventidue anni ed era madre di un bambino 
                        che stava allattando; Felicita era la sua schiava ed 
                        aveva partorito da due giorni.  
                        
                        
                        
                        12) Vangelo Secondo Matteo, vv.45-50, La Sacra Bibbia, 
                        edizione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, 
                        Roma, 1974.” 
                        
                        
                        
                        13) Il Genius per i Romani era la divinità che 
                        governava la natura umana dal momento della nascita e 
                        che lo accompagnava per tutta la vita. 
                        
												
												
												
												RECENSIONI 
      
      
      Cecilia Gobbi,  Messaggi dall'antichità (2006) 
      
      
      Eleonora Bellini, Messaggi dall'antichità
      (2005) 
      
      
      Giuseppe Risica, presentazione del libro Messaggi 
      dall'antichità (2005) 
                                          
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