Lancillotto fra amore e avventura

 

 

 

Noi leggevamo un giorno per diletto

di Lancialotto come amor lo strinse…

Divina Commedia, Dante, V canto,  vv.127-128)

 

I romanzi arturiani riscossero notevole fortuna, sia letteraria che  iconografica  ruotando intorno a temi avvincenti quali quelli cortesi e cavallereschi, come l’amore, con le gioie ed i dolori, e le scene di battaglia e di vittoria, e per l’intreccio inestricabile, nella  “materia di Bretagna o arturiana”,  di realtà e fantasia, storia e leggenda, come  la figura stessa di Artù  che affonda le radici nella realtà storica di un condottiero britanno della fine del V secolo, che si sarebbe fieramente opposto  all’invasione sassone nella natia Inghilterra divenendo, poi, re saggio e giusto, circondato da valenti cavalieri, di un vasto regno che si estendeva dalla Grande alla Piccola Bretagna, addirittura all’Europa intera, e, ferito a morte da un figlio incestuoso, si sarebbe ritirato in un’isola incantata, Avalon,  da cui un giorno ritornare per guidare ancora il suo popolo che non avrebbe mai smesso di attenderlo. E particolare sviluppo visivo ebbero sia la storia di Tristano e Isotta che quella degli amori di Ginevra, moglie di re Artù, con Lancillotto, cavaliere della Tavola Rotonda, ancora, quest’ultimo,  nel XIV secolo uno dei più celebri esempi di tradimento coniugale, e fu il pittore cortese mantovano Pisanello (1380-1455 ca.)  a visualizzare un ampio episodio tratto dal Lancelot de Lac.

Nella letteratura francese delle origini di particolare fascino sono, appunto,  i romanzi bretoni, che  hanno come scenario comune la leggendaria e nebbiosa  terra di Bretagna: Cornovaglia, Galles, Irlanda, Armor.

Opinione diffusa è che tali romanzi siano derivati da modelli popolari celti, leggende tradizionali degli antichi abitatori delle Isole britanniche e della Bretagna francese (anche se talune interpretazioni avanzerebbero, invece,  l’ipotesi che le narrazioni gaeliche conosciute, affini a tali romanzi, si sarebbero addirittura ispirate ad essi).

Qualunque delle due sia l’ipotesi giusta, di grande ed immutata suggestione restano le vicende letterarie ruotanti intorno a re Artù, ai cavalieri della leggendaria Tavola Rotonda, a Tristano e Isotta, a Ginevra e Lancillotto, che molto piacquero alla sensibilità cortese, ma conquistarono anche i romantici, che scorgevano in questi racconti, in cui si fondono tradizione locali ed elementi di ascendenza classica, le reliquie di una saga nazionale del popolo celtico.


"Dama!" così dice Galeotto "... abbiate mercé di lui: ché più v'ama che se medesimo...".
"Io n'avrò, " dice ella "tal mercé come voi vorrete: perché voi avete fatto quanto io vi richiesi. Ben debbo dunque fare quanto vorrete voi; ma egli non mi prega di nulla".

"Dama!" fa Galeotto "certo! ché egli non ne ha punto di potere: ché niuno può altri amare, senz'aver tema. Ma io ve ne prego per lui. Se non ve ne potessi aiutar io, sì vi dovreste adoperar da voi: ché più ricco tesoro non potreste voi conquistare".

"Certo, " fa ella "lo so bene, ed io ne farò ciò che voi me ne domanderete".

"Dama!" fa Galeotto "gran mercé! E io vi prego che voi gli concediate il vostro amore, e che lo prendiate a vostro cavaliere per sempre, e diveniate la sua leal dama per tutto il tempo della vostra vita. E così l'avrete fatto più ricco che se gli aveste donato tutto il mondo".
"Così, " fa ella "io consento: ch'egli sia tutto mio, ed io tutta sua, e che per voi siano ammendati i torti e le violazioni dei patti".

"Dama!" fa Galeotto "gran mercé! Ma ora ci vuole un primo pegno".

"Voi non diviserete cosa alcuna, " fa la regina "ch'io non compia".

"Dama!" fa Galeotto "gran mercé! Baciatelo dunque innanzi a me, per cominciamento di verace amore".
"Del baciare non veggo io ora né luogo né tempo. E non temete ch'io così volentieri non ne sia desiosa, quanto egli ne sia; ma quelle dame son là, che si meravigliano molto di che noi abbiam fatto tutto questo tempo, e non potrebb'essere che non lo vedessero. E nonpertanto, s'egli lo vuole, io lo bacerò molto volentieri".

Ed egli n'è sì lieto e sì sbigottito, che non può rispondere se non soltanto:

"Dama, gran mercé!".

"Ah, dama, " fa Galeotto "non dubitate punto del suo volere, che ci è tutto. E sappiate che niuno se ne accorgerà: perché noi ci trarremo in disparte tutti tre insieme, come a prender consiglio".
"Di che mi farei ora pregare?" fa ella. "Più lo voglio io che voi e lui".

Allora si traggono in disparte tutti tre insieme e fan sembiante di prender consiglio. E la regina vede che il cavaliere non osa far più. Allora lo prende ella per le guance e sì lo bacia innanzi a Galeotto, assai lungamente, tanto che la dama di Maloalto s'accorse ch'ella lo baciava.


(Il bacio di Ginevra a Lancillotto, Anonimo del XII  secolo)

 

Appartiene ad un autore anonimo medievale questo brano che immortala un momento topico dell’amore fra la regina Ginevra e Lancillotto: il bacio. Qui Galeotto (Galehaut nel testo francese), siniscalco della regina Ginevra, la spinge a superare ogni esitazione e a baciare Lancillotto, che le sta dinanzi pallido e tremante, impossibilitato a proferire parola per il turbamento e la commozione.

La scena si prospetta proprio come una sorta di investitura amorosa, simile a quella dell'investitura feudale: come il signore, in cambio dei suoi servigi, accorda la protezione al vassallo, così la donna, in una posizione socialmente superiore a quella del cavaliere, ne accetta il servizio amoroso, dispensandogli i suoi favori.

Il siniscalco Galeotto, si configura, dunque, come l'intermediario che provoca e favorisce l'incontro fra i due innamorati, ma è anche il testimone e il garante del patto d'amore, suggellato proprio dal bacio scambiato fra Ginevra e Lancillotto.

L'amore, tema presente in tutte le letterature, nella letteratura francese fin dalle origini, si configura come fin'amor, l'amore nobile cantato dai trovatori, che diviene l'elemento centrale delle idealità della società cortese, la fonte stessa delle qualità che definiscono il perfetto cavaliere, e sviluppo congeniale trovò nella storia fra Ginevra e Lancillotto, fondendosi insieme all’avventura.

Al ciclo dei romanzi bretoni appartiene il Lancelot ou le chevalier à la carrette, di Chrétien de Troyes (per il suo romanzo ispirato da Maria di Champagne, figlia del re di Francia Luigi VII e di Eleonora d’Aquitania, che estese anche alla sua corte l’influenza del gusto provenzale, già diffuso dalla madre, regina letterata, così come fece anche, presso la sua, sua sorella, Alice di Blois), in cui la figura mitica di Lancillotto si muove, fra avventure, prodigi, amori, piacendo all’autore fare tema centrale della sua narrativa, senza dubbio, l’amore, mai disgiunto dalla perfezione cavalleresca, insieme all’altro tema centrale della sua opera, l’avventura, vissuta come ricerca del cavaliere dell’oggetto del desiderio che gli pare irraggiungibile, ma che, fra mille pericoli, mettendo alla prova se stesso, tenacemente insegue, in continua opposizione fra corte e spazio esterno, presenza e allontanamento.

Poco sappiamo delle vicende biografiche di Chrétien de Troyes, forse il più noto rappresentante della tradizione oitanica e cortese, sicuramente il massimo autore di poemi romanzeschi di materia arturiana ed il maggior poeta medievale anteriore a Dante, definito da Aragon  “il nostro primo poeta nazionale”.

Originario della Francia nordorientale, nato, probabilmente, intorno al 1135, nella regione della Champagne, morto intorno al 1190, fu araldo d'arme e poeta,  svolgendo  la sua attività di scrittore nel trentennio 1160-1190,  prima presso la corte di Troyes, protetto dall’illuminata Maria di Champagne, che lo incoraggiò nella trattazione dei temi d’ispirazione cortese (centrata soprattutto sul conflitto tra amore e avventura) e poi  presso quella di Filippo d’Alsazia, conte di Fiandra.

Oltre alle composizioni giovanili, il poemetto Guillaume d'Angleterre, rifacimenti e traduzioni di testi di Ovidio, liriche d’argomento amoroso in lingua d’oïl, di Chrétien de Troyes ci sono pervenuti cinque romanzi,  in versi ottonari a coppie di rime baciate,  ispirati dalla poesia lirica provenzale e basati su leggende bretoni (Chrétien de Troyes è  il primo autore nelle cui opere troviamo  la storia di Lancillotto e del suo amore per Ginevra e in cui viene citata  Camelot) ma, soprattutto, alimentati dalla sua fantasia, composti, nell’ordine, a partire dal 1165: Erec et Enide, Cligès, Lancelot ou Le Chevalier de la carrette, Yvain ou le Chevalier au lion, Perceval ou Le Conte du Graal.

Tra questi romanzi, definiti da  Salverda de Grave (1936) la prima serie di capolavori del classicismo francese,  accolti con entusiasmo e tradotti in tutta Europa a partire dal XII secolo, il più celebre è, appunto, il Lancelot, scritto intorno al 1176, che narra dell’amore colpevole tra Lancillotto e la regina Ginevra, la sposa di re Artù (ma Chrétien de Troyes aveva anche scritto un romanzo su Tristano ed  Isotta andato, purtroppo, perduto).

La vicenda ha inizio dal rapimento di Ginevra, moglie di Artù, ad opera di Malgigante, figlio del re di Gorre, che conduce la regina nella sua terra misteriosa e magica, di cui s’ignora l’ubicazione e dalla quale  si dice che nessuno faccia ritorno.

Tra i cavalieri che inseguono Ginevra per liberarla, c’è anche Lancillotto, segretamente innamorato di lei, che, per trovare la strada del regno di Gorre, e liberare l’amata, affronta prove difficili e pericolose, come l’attraversamento del Ponte della Spada, costituito da una lama affilatissima sospesa su un precipizio,  ed anche umilianti (salirà sulla carretta dei condannati a morte, perciò il titolo del romanzo, in tal modo disonorandosi, ma qui  l'Amore è inteso come conquista che richiede assoluta dedizione, compreso l'annullamento di sé e del proprio onore) e Ginevra, informata delle sue esitazioni di fronte al disonore, rifiuterà di parlargli, concedendogli, poi,  il perdono e l'amore soltanto dopo altre prove faticose e pericolose.

Nella scena in cui Lancillotto sale sulla carretta, Chrétien de Troyes  descrive con sapienza il dibattito interiore di Lancillotto inizialmente esitante ad umiliarsi salendovi (va qui ricordato che nelle antiche chansons de geste estremamente importante era per i cavalieri il culto dell’onore), unico mezzo, tuttavia,  a sua disposizione per raggiungere Ginevra.

 

Il cavaliere gli chiede:

“Nano, dimmi in nome di Dio se hai visto passare per di qua madama la regina”.

Ma quel nano, vile e di ignobili origini, non vuole dargli notizie e dice invece:

“Se vorrai montare sulla carretta che conduco, prima di domani potrai sapere cosa è avvenuto della regina”.

Il cavaliere esita, e prosegue per la propria strada senza accettare l’invito.

E fu per sua sventura e vergogna che non vi salì subito, perché più tardi avrebbe avuto a pentirsene e avrebbe giudicato di avere agito male. Ma Ragione, in disaccordo con Amore, gli suggeriva di guardarsi dal montarvi, e lo esortava e lo ammaestrava a non intraprendere un’azione che gli sarebbe forse tornata a onta e a biasimo. Ragione non ha posto nel cuore, ma nella bocca: per questo osava parlargli in tal modo. Ma Amore, che era rinchiuso nel suo cuore, gli ordinava e lo ammoniva di montare subito.

Poiché lo vuole Amore, il cavaliere sale sulla carretta e non si cura di provare vergogna: è Amore che comanda e vuole.

(trad. in prosa di M. Boni, accolta nell’edizione integrale dei Romanzi di Chrétien a cura di C. Pellegrini, Sansoni, Firenze, 1962)

 

Altro punto estremamente avvincente nella narrazione di Chrétien de Troyes è la descrizione del convegno d’amore tra Lancillotto e Ginevra, ove emerge l’alta  considerazione in cui, nell’idealità cortese, era tenuta la donna.

Qui il cavaliere è in devozione amorosa, ed il suo inginocchiarsi dinanzi alla sua regina, e regina del suo cuore, si trasfigura in adorazione mistica, come se si trovasse dinanzi ad un altare; nonostante si tratti di una situazione profana (il convegno d’amore, per giunta adulterino), si ha come la sensazione di  assistere  ad una sacra liturgia.

 

La finestra non è punto bassa, tuttavia Lancillotto vi passa molto presto e molto agevolmente. Trova Keu che dorme nel suo letto, poi viene al letto della regina, e la adora e le si inchina, poiché in nessuna reliquia crede tanto. E la regina stende le braccia verso di lui e lo abbraccia, lo avvince strettamente al petto, e lo trae presso di sé nel suo letto, e gli fa la migliore accoglienza che mai poté fargli, che le è suggerita da Amore e dal cuore. Da Amore venne la buona accoglienza che gli fece; e se essa aveva grande amore per lui, lui ne aveva centomila volte di più per lei, perché Amore sbagliò il colpo tirando agli altri cuori, a paragone di quel che fece al suo; e nel suo cuore Amore riprese tutto il suo vigore, e fu così completo, che in tutti gli altri cuori [a confronto] fu meschino. Ora Lancillotto ha ciò che desidera, poiché la regina ben volentieri desidera la sua compagnia e il suo conforto, e egli la tiene tra le sue braccia, ed essa tiene lui tra le sue. Tanto gli è dolce e piacevole il gioco dei baci e delle carezze, che essi provarono, senza mentire, una gioia meravigliosa, tale che mai non ne fu raccontata né conosciuta una eguale; ma io sempre ne tacerò, perché non deve essere narrata in un racconto. La gioia più eletta e più deliziosa fu quella che il racconto a noi tace e nasconde.

(da I romanzi cortesi,  a cura di Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, “Gli Oscar” Mondadori, Milano, 1988).

 

Nel Lancelot l’autore prende in esame il rapporto amore/avventura, il tipo di sottomissione che una donna può richiedere all’amante, il cavaliere, e se questi possa essere contemporaneamente uomo valoroso, eroe che non arretra di fronte ai suoi doveri di cavaliere, ed anche perfetto amante, obbediente e sottomesso ai desideri della’amata.

Il nome francese “Lancelot” deriva dalla parola ancel, di radice latina “ancilla”, serva. Ancelot è il diminutivo trasformatosi in l’ancelot, poi divenuto Lancelot; già dall’etimologia si comprende dunque il vassallaggio dell’uomo nei confronti della donna.

In Lancillotto ritroviamo infatti l’esaltazione del servir cortese, del vassallaggio d’amore, trasferimento del rapporto vassallo-signore a quello uomo-donna, l’innamorato che, senza esitare, si sottomette interamente ai capricci dell’amata (che, per questo, nulla gli deve in cambio), disposto per lei persino a salire, pur essendo cavaliere, sulla carretta dei malfattori, giacché, per la morale del tempo, l’amore nobilita,  e l’uomo, per nobilitarsi, deve soggiacere alla volontà femminile; la donna diventa quindi “madonna”, mea domina, anzi midons (meus dominus), mentre l’innamorato, sers (servus) da cavalier servente compirà il suo “servizio d’amore” (servizi) in penosa umiltà e con tacita pena, perché quella è la sola strada per ottenere il “compenso”.

L’amore preso in esame nel libro è, dunque, quello cortese, che nel Medioevo esulava sempre dal matrimonio, giacché questo legame in Francia a quel tempo (ma ancora fino a tutto l’Ottocento), veniva sempre contratto per motivi di convenienza e di patrimonio, mai per questioni di cuore, perciò  ricercato fuori del legame legittimo, ed emblematico è il caso di Lancillotto e Ginevra.
Chrétien de Troyes scelse la materia di Bretagna per esprimere la sua visione del mondo cavalleresco e dei rapporti tra uomo e donna, ma seppe fondere armoniosamente tutta la narrativa precedente, creando un genere moderno ed originale, in cui amalgamare il gusto del meraviglioso col realismo e con la capacità d’introspezione psicologica.

Nella cultura del ciclo bretone prevalsero, pertanto, il gusto dell’avventura, l’affermazione personale, l’amore come suprema ispirazione, intimo impulso, elevazione spirituale, arricchimento interiore, fonte di ogni diletto, ma anche come forza ispiratrice, stimolo ad azioni eroiche e coraggiose per ingraziarsi il favore della donna amata.

La guerra e l’amore erano per il cavaliere similmente importanti; leale sia verso il sovrano sia verso la donna (non a caso il motto della Cavalleria era La mia anima a Dio, la mia vita al re, il mio cuore all’amata, l’onore a me!), ad entrambi offriva i suoi servigi, guidato dal senso dell’onore, che lo spingeva a soccorrere i deboli e gli indifesi, e dalla passione amorosa, che lo rendeva sottomesso e fedele alla donna ma che pure lo spingeva alle avventure, l’avanture sostenuta dall’eroe per arrivare alla donna amata.

E Lancillotto affronterà infinite prove, avventure incredibili, pericoli ed ostacoli, pur di giungere all’appagamento finale:

…e se essa aveva grande amore per lui ,lui ne aveva cento mila volte di più per lei, perché Amore sbagliò il colpo tirando agli altri cuori, a paragone di quel che fece al suo; e nel suo cuore Amore riprese tutto il suo vigore, e fu così completo che in tutti gli altri cuori, a confronto fu meschino. Ora Lancillotto ha ciò che desidera,poiché la regina ben volentieri desidera la sua compagnia e il suo conforto, e la tiene fra le sue braccia, ed essa tiene lui tra le sue...

(Traduzione di S. Pellegrini, in "Romanzi" Firenze, Sansoni, 1962).

 

Altro importante interprete del ciclo arturiano, e del mito di Lancillotto, tra realtà e  leggenda, fu Tomas Malory scrittore inglese (1410 circa- 1471) autore de Le Morte  Darthur, pubblicato a stampa da William Caxton nel 1485, che, pur riproponendo un mondo cavalleresco che risentiva fortemente del tempo in cui l’opera fu composta, diede larga popolarità alle storie della Tavola Rotonda.

Malory, pur non leggendo mai l’opera di Chrétien de Troyes, s’ispirò alle narrazioni cicliche francesi, ma costruì una narrazione propria, passando dal romanzo ciclico al romanzo “lineare” (Mario Praz scrisse che “la sua opera rappresenta la transizione dal romanzo medievale al romanzo moderno”).

Mentre nel Lancelot di Chrétien  il protagonista  è diviso fra il dovere imposto dall’amore cortese, che lo spingerebbe a compiere qualunque sacrificio per accorrere in aiuto Ginevra, e l’orrore di macchiare in modo irreparabile il proprio onore , salendo sulla carretta simbolo, in Malory, invece,il conflitto non si pone, il suo Lancillotto non si trova di fronte a nessuna scelta, perché ciò che preme all’autore non è il meraviglioso, l’eccezionale, ma il concreto, anche quando parla della ricerca del Graal, che nel ciclo arturiano francese aveva  significato mistico, in Malory risulta una spedizione militare che deve, come ogni altra, essere finanziata. Ed anche salire sulla carretta non è disonorevole,  la carretta non è un che un mezzo di trasporto sul quale l’eroe, cui è stato ferito a morte il cavallo, sale  per non proseguire a piedi oppresso  dal caldo e dalla pesante armatura.

Sentimenti e passione amorosa non interessano a  Malory, a lui preme,  soprattutto, descrivere il legame di solidarietà e di lealtà che unisce i cavalieri impegnati a “conquistarsi onore cavalleresco” e a dimostrare, attraverso avventure e tornei, la loro virilità.

Ad una damigella che lo rimprovera perché non si è sposato e non è innamorato il Lancillotto di Malory risponde:

Bella damigella, non penso affatto di prendere moglie, perché dovrei restare al suo fianco trascurando le armi, i tornei, le battaglie, le avventure.

Nell’interpretazione di Malory siamo, dunque, lontani dall’orizzonte poetico di Chrétien de Troyes, che, attraverso una splendida interpretazione, ideologica e sentimentale, l’amore di Lancillotto e Ginevra,  seppe offrire l’immagine più intensa dell’amore cortese. 

 

 

Testi

 

Thomas Malory, Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, 1985, Mondadori, Milano.

Storia della letteratura francese, V. -L. Saulnier, 1964 Einaudi.

Ward Rutherford, Tradizioni celtiche, 1996, Neri Pozza editore

Poesia straniera inglese, I, La biblioteca di repubblica, 2004

Episodi e personaggi della letteratura, I parte, Electa, Roma 2004.

Folco Zanobini, Il presente della memoria, Bulgarini Firenze, 1990