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            La
            Contessa di Castiglione 
       (1837-1899) 
						                          
                                                
            
            La Contessa di Castiglione, 
            George Frederic Watts, 1857 
            
  
              
            
            […] come quella 
            Contessa Castiglione  
            bellissima, di cui si favoleggia.  
             
            Allo sfiorire della sua stagione,  
            disparve al mondo, sigillò le porte  
            della dimora, e ne restò prigione.  
             
            Sola col Tempo, tra le stoffe smorte,  
            attese gli anni, senz'amici, senza  
            specchi, celando al Popolo, alla Corte  
             
            l'onta suprema della decadenza. 
            
            (“I colloqui”, Guido 
            Gozzano) 
            
            Immortalata anche nei 
            versi, oltre che sulla tela e in ritratti pittorici e fotografici da 
            svariati artisti dell'epoca, la contessa di Castiglione, la "divina 
            Castiglione", "l'amica dei re", considerata la donna più 
            bella del suo secolo, fu affascinante, intelligente, scaltra, abile 
            nella diplomazia e negli affari, e si servì del suo fascino non solo 
            per i personali scopi seduttivi, ma anche per influire sulla 
            politica del tempo. Nacqui nell’istante in cui una stella 
            cadente passava sulla mia culla. Correva l’anno 1843 e non 1840 e 
            non fu il mio antico villaggio a sentire i miei primi vagiti, ma un 
            altro villaggio, poiché il segreto circonda la mia nascita; non so 
            bene dove sia nata e da chi sia nata… 
            In chiara 
            testimonianza del carattere fantasioso e bizzarro, per avvolgere i 
            propri natali in un alone di mistero, così scriveva di sé, ma, in 
            realtà, Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria 
            sapeva benissimo di essere nata a Firenze il 22 marzo 1837, dal 
            nobile marchese spezzino Filippo Oldoini e dalla fiorentina Isabella 
            Lamporecchi; infatti più tardi ammise: Sono nata alla Spezia, mi sono sposata 
            alla Spezia e voglio essere sepolta alla Spezia mia ingrata, 
            ingiusta amata città. Virginia fu di una 
            bellezza rara, qualcuno la chiamò l’Unica. Quando a Firenze, 
            ancora dodicenne, passeggiava sui Lungarni, la gente si affollava 
            per guardarla. Alta, di figura armoniosa e snella, una statua di 
            carne, come la definì non senza invidia la principessa di 
            Metternich, con gli occhi cangianti tra il verde e l’azzurro, con 
            strane sfumatura violacee che facevano un profondo contrasto con i 
            morbidi capelli inanellati di colore castano-dorati, il nasino 
            all'insù, aveva anche belli mani e piedi, tanto che molti artisti li 
            ritrassero separatamente dal corpo. Di sé diceva:  Io sono io, e me ne vanto; non voglio 
            niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. 
            Riconosco che posso non sembrare buona dato il mio carattere fiero, 
            franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così 
            qualcuno mi detesta; ma ciò non m'importa. Non ci tengo a piacere a 
            tutti.  Non di grande 
            cultura, mostrò presto un’intelligenza vivace e un intuito pronto. 
            Crescendo, divenne sempre più consapevole di sé: amava sbalordire, 
            farsi ammirare, essere al centro dell’attenzione. La Spezia, dove 
            visse, ma non fu sepolta, nonostante lo desiderasse, fu la città che 
            molto amò e alla quale sempre pensò come al borgo natio, attratta 
            con nostalgia dal Golfo dei Poeti, da lei romanticamente 
            ribattezzato "Golfo di Ariel". Soprannominata da 
            Massimo D'Azeglio "Nicchia" (e con questo nome la conobbe il 
            principe Luigi Napoleone -il futuro Napoleone III- quando da giovane 
            abitava a Firenze) Virginia divenne la contessa di Castiglione 
            sposando a soli diciassette anni il conte Francesco Verasis Asinari 
            di Castiglione Tirella, ma il suo non fu un matrimonio d’amore, non 
            amò mai il marito, gli fu ripetutamente infedele e se ne separò. Di 
            quest’infelice unione in seguito incolpò la madre, rimproverandola 
            di non averla accompagnata allora in Francia.  Se così fosse 
            stato-scriveva- oggi la Francia avrebbe per imperatrice 
            un’italiana e non una spagnola (alludendo ad Eugenia de Montjio 
            sposata da Napoleone III nel 1853).  A Torino, dove i 
            Castiglione si trasferirono, trovò ben presto modo di risplendere 
            nei salotti della nobiltà piemontese, ma due avvenimenti vennero ad 
            interrompere la sua scintillante vita mondana: la morte della regina 
            Maria Adelaide, che valse a far chiudere per qualche tempo i salotti 
            torinesi, e la nascita del suo primo figlio. E fu a Torino che 
            conobbe un cugino molto importante: il Presidente del Consiglio dei 
            Ministri, Camillo Benso conte di Cavour.   Passionale, 
            consapevole del suo fascino, altera e superba, sprezzante verso le 
            altre donne, amante della libertà e insofferente alla disciplina, 
            animata da irrefrenabile ambizione mondana, Virginia era anche 
            convinta di essere predestinata a un destino superiore, di poter 
            passare alla Storia aiutando il Paese. E fu proprio Cavour, con 
            l'approvazione del re Vittorio Emanuele II, ad inviarla a Parigi, 
            affinché, con l'adulazione e la seduzione, influenzasse 
            favorevolmente verso l'Italia Napoleone III e lo spingesse 
            all'alleanza franco-piemontese. Si era, allora, in pieno 
            Risorgimento, e precisamente tra la prima e la seconda guerra per 
            l’indipendenza. Sconfitto dagli austriaci nel 1849, il Piemonte si 
            stava preparando per la rivincita, e l’arduo compito venne affidato 
            a Cavour, il quale comprese che, per riuscire nella difficile 
            impresa, al Piemonte serviva un alleato potente, e allora puntò 
            sulla Francia, mettendo in atto ogni mezzo per farsela amica. Pensò, 
            così, di sfruttare la bellezza e l’ambizione della contessa di 
            Castiglione per penetrare fin nell’intimità di Napoleone III, ma il 
            tentativo riuscì soltanto in parte, perché il contributo di Virginia 
            non corrispose del tutto alle sue aspettative. Comunque, fra 
            intrighi amorosi e maneggi politici, destreggiandosi fra la 
            diplomazia e l'alcova, Virginia divenne una delle poche donne in 
            grado di svolgere, seppur con mezzi discutibili, una funzione 
            politica, esercitando un ruolo importante nella formazione 
            dell'unità d'Italia, e schierandosi a favore della Francia invasa 
            dai prussiani, contribuendo a scrivere un'importante pagina della 
            storia del Risorgimento. Ma dopo aver brillato e scintillato tra 
            gioielli preziosi e toilettes da favola, tra balli ed amanti, dopo 
            aver conosciuto i piaceri e i trionfi della mondanità, dopo aver 
            vissuto un grande amore addirittura con un imperatore (Napoleone III, 
            che si prostrò ai suoi piedi, arrivando a donarle cinquantamila 
            franchi al mese per le spese voluttuarie, per il “dolciumi” e i 
            “guanti”, come si diceva allora, ed una famosa collana di perle a 
            sei giri), giunse il tempo del triste declino.  Espulsa dalla Francia 
            per ordine della sua rivale, l’imperatrice Eugenia, dopo l’attentato 
            all’imperatore, probabilmente tramato dalla stessa sovrana ma di cui 
            fu ritenuta responsabile, finì i suoi giorni come una romantica 
            eroina: ignorata, in solitudine, quasi folle, piena di rancori, in 
            disperato rimpianto della giovinezza perduta e inconsolabile per il 
            fascino perduto, tanto afflitta da far ricoprire d’un velo nero gli 
            specchi di casa per non vedere le rughe addensate sul suo viso e il 
            corpo ormai privo di freschezza, così come ricordò Guido Gozzano nei 
            suoi “Colloqui”. Chiese di essere 
            sepolta alla Spezia, senza funzione religiosa e senza fiori, senza 
            informare i giornali e le autorità, in ricordo dell’amore imperiale 
            con indosso la camicia da notte leggera e preziosa, quella che stava 
            tutta nel pugno di una mano, della notte trascorsa con Napoleone III 
            a Compiègne, al collo una collana di perle e ai polsi due 
            braccialetti che tanto aveva cari, sotto il capo il cuscino di 
            velluto ricamato dal figlio Giorgio quand'era bambino, e di avere ai 
            suoi piedi, nella bara, i due cagnolini imbalsamati. Morì il 28 
            novembre del 1899 a Parigi e niente di quanto aveva chiesto ottenne, 
            né dalla Francia, che aveva aiutato, né dall'Italia che, nonostante 
            i mezzi discutibili, aveva contribuito a creare.  Nessuno dei suoi 
            estremi desideri fu esaudito perché il suo testamento venne alla 
            luce solo dopo la sepoltura: ebbe una regolare funzione religiosa, 
            ai funerali parteciparono i camerieri, un duca e un agente di 
            cambio, fu privata della compagnia dei suoi cani, persino del 
            cuscino del figlio, morto da tempo, che pure in tutta la vita non 
            aveva molto amato ma del quale, in un tardivo sussulto d'istinto 
            materno, si era ricordata, e non indossò né la famosa camicia della 
            notte di Compiègne né i suoi gioielli, prontamente sottratti dagli 
            eredi d'accordo con l'avvocato compiacente. Subito dopo la sua 
            morte la polizia, le autorità e i servizi segreti sabaudi frugarono 
            tra le sue carte e bruciarono tutte le lettere e i documenti a lei 
            inviati dalle massime personalità del tempo con le quali era entrata 
            in contatto, re, politici, papi, banchieri, come Napoleone III, 
            Bismarck, Cavour, Pio IX, Rothscild, forse per cancellare 
            testimonianze compromettenti o per negare che l'Italia le era 
            debitrice, perché l'Unità era stata conseguita anche attraverso le 
            sue modalità non troppo lecite, ma era stato proprio il capo del 
            governo, Cavour, quando l'aveva spedita a Parigi da Napoleone III, a 
            dire a Virginia: Usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite. E nemmeno ebbe la 
            tomba in Italia; non fu sepolta alla Spezia, ma nel cimitero di Père 
            Lachaise, dove ancora oggi riposa. Un poeta ignoto le 
            dedicò questi versi: 
            
            Ah la contessa riposa 
            
            su un letto di fiori 
            e di trine, 
            
            colei che fu Aspasia 
            e fu Frine, 
            
            giglio, anemone e 
            rosa 
              
            
            sogna gli amanti 
            imperiali 
            
            i balli le corti gli 
            omaggi 
            
            côtillons feste 
            equipaggi 
            
            gli amici dai nomi 
            immortali. 
            
              
            
            Voleva essere insieme 
            
            imperatrice e regina 
            
            or la bellezza si 
            incrina 
            
            e il tenero cuore ne 
            geme. 
            
              
            
            Tutto è perduto: gli 
            specchi 
            
            coperti. Non vuole 
            vedere 
            
            mutate le chiome sue 
            nere 
            
            in grigio di spenti 
            cernecchi. 
            
              
            
            E piange, ogni 
            lacrima splende 
            
            come una perla sul 
            viso; 
            
            Napoleone conquiso 
            
            dal gran ritratto 
            discende 
            
              
            
            e dice: "Contessa, 
            voi siete 
            
            tra le più belle la 
            bella 
            
            sempre". Un sorriso 
            cancella 
            
            allora le pene 
            segrete. 
            
              
            
            E' un attimo solo. La 
            Morte 
            
            distende il suo negro 
            mantello 
            
            e il viso che fu così 
            bello 
            
            conosce l'oltraggio 
            più forte. 
						                       
                             
            
            
            RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 
            
            Grillandi M, La 
            contessa di Castiglione, Rusconi, 1978, Milano. 
            
            Petacco A., 
            L’amante dell’imperatore, Arnoldo Mondadori, Editore, 2000, 
            Milano. 
						             
						        
						        
                                                  
                                                
            
              Foto 
            della Contessa di Castiglione 
              
            
            
            
            
            
              
            
            
              
              
            
            
              
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