Francesca Santucci

Giuditta I

di Gustav Klimt

…non esiste un mio autoritratto. Non m’interesso alla mia persona come “oggetto di rappresentazione, ma agli altri esseri, soprattutto femminili.
(G.Klimt)
 

 

Gustav Klimt, il pittore più famoso della Vienna fin de siècle, ebbe una carriera ricca di soddisfazioni, tanto che a trentacinque anni aveva già partecipato anche a molti progetti decorativi in edifici pubblici di Vienna e s’apprestava a divenire un punto di riferimento per l’arte della capitale ma, appassionato difensore della libertà individuale ed artistica, alieno dal conformismo, d’indole simile a quella d’un bohémien (amava anche indossare un lungo camicione blu invece del consueto abito di società indossato dai pittori famosi del tempo), intorno agli anni Novanta cominciò a distaccarsi dagli ambienti artistici della tradizione e a criticarne sempre più lo spirito conservatore, approdando alla Secessione viennese di cui resta ancora oggi l’interprete più significativo.
Klimt fu un finissimo decoratore, un eccellente disegnatore ed un abile paesaggista, ma nel suo tempo fu molto ricercato soprattutto come ritrattista di figure femminili, in particolare dalle ricche e colte signore della borghesia industriale viennese, che seppe ritrarre in piena libertà stilistica, proseguendo nella sperimentazione e nella ricerca di nuove soluzioni pittoriche, in modo elegante e raffinato, con immagini stilizzate e languide, in quadri estremamente ornamentali, simili a preziosi lavori di orafi, che, ad un’attenta lettura, rivelano un erotismo quasi morboso che non di rado provocò vivaci reazioni nei suoi contemporanei.
In realtà Klimt aveva davvero un temperamento appassionato, da seduttore; una volta inseguì fino a Venezia Alma Malher, una bellissima e famosa bellezza viennese, sperando di diventarne l’amante, ma lei non cedette; non si sposò mai, ma ebbe poi una lunghissima relazione, durata ben ventisette anni, con Emilie Flöge, la vedova del fratello, che spesso gli fece da modella e per la quale disegnò molti abiti.
La vita di Klimt coincise anche con il periodo più interessante ed intenso della cultura viennese, e cioè con gli studi di Freud, lo sviluppo delle nuove teorie sulla psicoanalisi, sulla sessualità, sull’estetica, che rivoluzionarono i costumi, spostando l’interesse del mondo intellettuale, ma anche di quello artistico, sulla psiche e sull’eros.
Klimt, già sensibile alla bellezza fisica, assimilò tutte queste suggestioni che, insieme all’interesse innato verso la donna, alimentarono il suo immaginario e confluirono nella sua arte.
L’erotismo, la nascita, la morte, la presenza femminile, il ciclo della vita, la donna incinta e la donna madre, furono questi i temi che ripropose in maniera quasi ossessiva, palesando continuamente la sua attrazione verso la figura femminile, in un approccio però ambiguo: la donna di Klimt è, infatti, sempre in sospensione tra l’essere madonna oppure femme fatal, perciò la scelta di ritrarla spesso in posa frontale, come icona da rispettare o da temere perché incarnazione del male, dispensatrice di felicità, come nel quadro Il bacio, oppure causa di distruzione attraverso un oscuro potere, come Giuditta I, dipinto nel 1901.
Certo, in tempi in cui fervida era la lotta per l’emancipazione femminile per la parità ed il riconoscimento dell’uguaglianza dei diritti della donna, risale proprio a quegli anni il movimento delle “suffragette”, può lasciare perplessi la considerazione che della donna aveva Klimt, chiuso nel cliché del demone e dell’angelo, concezione che, tra l’altro, ha alimentato tanta letteratura, basti pensare, in Italia, al romanzo “Fosca” di Iginio Ugo Tarchetti, ma indubbio resta il valore artistico delle sue opere.
Ha un riferimento biblico ben preciso il soggetto del quadro Giuditta I: nell’Antico Testamento Giuditta è una nobile vedova ebrea, bella e virtuosa, che riesce a salvare la città di Betula dall’assedio degli Assiri. Afflitta per il suo popolo oppresso, la pia donna giorno e notte prega il Signore perché vada in suo soccorso finché, ispirata, elabora un piano audace.
Raccomandandosi a Dio, si reca con una domestica nell’accampamento nemico, i soldati la portano subito dal generale assiro Oloferne che, vedendola così bella, s’infiamma di desiderio per lei e vuole possederla. Con soavi parole la donna lo tiene a bada per tre notti, partecipando ai suoi banchetti e aspettando il momento opportuno per il suo proposito. La terza notte Oloferne cena con i suoi baroni e beve parecchio; scaldato dal vino, e infiammato dalla passione, vuole possederla. Giuditta non rifiuta, ma gli chiede, per pudore, di far uscire tutti dal padiglione e di coricarsi, lei lo raggiungerà verso mezzanotte, quando tutti dormono. Allora prega il Signore di darle la forza e il coraggio per liberare il suo popolo dal tiranno, poi va da lui e nel sonno gli mozza il capo, che riporta in città come macabro trofeo. L’indomani i nemici, sorpresi dagli Ebrei nell’accampamento, allo sbaraglio senza il loro comandante, vengono tutti o uccisi o fatti prigionieri dagli Ebrei. Giuditta sarà lodata per sempre nelle Sacre Scritture per aver liberato il popolo di Dio dalle mani di Oloferne.
Quella che comunemente dagli Ebrei viene ritenuta un’eroina, perché ha salvato la città dall’invasore, viene invece vista da Klimt come il prototipo della femme fatal dei suoi tempi, e dunque ritrae una Giuditta (tema su cui ritornerà con un secondo quadro esasperandone ancor di più la crudeltà) estremamente sensuale, contro un fondo in oro, con un’espressione che unisce l’estasi dei sensi ed il fantasma lugubre della morte, di crudele trionfo, dipinta sulle labbra semiaperte, gli occhi socchiusi in uno sguardo rapito, distaccato e freddo, la gola cinta da un pesante gioiello, chiaro riferimento alla decapitazione, con la veste che  scopre la nudità del busto per sottolineare l’inquieta sensualità della donna, una mano quasi da rapace, con dita lunghe e affusolate, più simili ad artigli, che pare quasi carezzare subdolamente la testa di Oloferne.
Tutto il quadro, ricco degli elementi ornamentali comunemente presenti nei quadri del periodo aureo di Klimt, come l’oro, l’argento, le pietre dure, testimonianze del suo interesse per l’arte decorativa bizantina e della sua pratica giovanile del mosaico, e spesso maschere dello scoperto erotismo di molti suoi soggetti, ha un’atmosfera torbida e decadente, che emana suggestioni di morte e sensualità, che non possono sfuggire all’osservatore e che sono le caratteristiche che fin dalla prima apparizione hanno colpito il pubblico.
Sebbene il titolo sia chiaramente indicato sul dipinto, all’epoca Giuditta fu scambiata, ma ancora oggi talvolta s’incorre nell’equivoco, con un altro personaggio biblico, con Salomè che fece decapitare Giovanni Battista per soddisfare lo spirito vendicativo della madre. Molti contemporanei di Klimt rifiutarono di credere che la torbida femme fatal dipinta rappresentasse la pia Giuditta delle Sacre Scritture e preferirono ritenerla la terribile tentatrice Salomè.
Klimt ritornò ancora sul tema di Giuditta con un secondo quadro, nel 1909, un ritratto a grandezza naturale in cui esasperava ancor di più la crudeltà e la freddezza della donna.

 

Leggi anche Giuditta e Oloferne