I cap.

 

Era cresciuta in una zona povera del paese ed il padre faceva da sempre il muratore.
Elena aveva cinque fratelli e lei era la più piccola.
Nata inattesa e indesiderata, come già la madre le aveva fatto capire da tempo.
Vivevano in una condizione di miseria poiché i soldi non erano mai sufficienti per sfamare l’intera famiglia.
Non era stata mandata a scuola, ma egualmente aveva imparato a leggere e a scrivere con l’aiuto del fratello maggiore che, unico, aveva goduto del beneficio di frequentare le elementari.
Giacomo, si chiamava, ed era il solo che le volesse veramente bene. Tutti gli altri la consideravano un peso, un ingombro, un’inutile presenza. Povera Elena! Mai una parola gentile da nessuno, mai un gesto d’affetto.
La ignoravano e allora si era creata un mondo tutto suo, segreto, fatto di sogni e di fantasie inconfessate e strane, quasi morbose talora.
Era una di quelle famiglie povere dove tutti spesso restano digiuni, ma devono possedere assolutamente i più moderni elettrodomestici esistenti sul mercato.
Ad otto anni, aveva saputo che la madre era scappata da casa con il suo nuovo amore.
Era rimasta sola con il padre e tre fratelli, poiché le due sorelle più grandi già si erano sposate non ancora maggiorenni.
Quando aveva compiuto quindici anni, già dimostrava tutta la sua bellezza. Era una ragazza dalle forme armoniose, longilinea, di carnagione chiara, con la fronte spaziosa, le sopracciglia arcuate,gli occhi grandissimi e color camomilla.
Elena possedeva una grand’abbondanza di capelli castani e aveva sempre le spalle coperte da molti riccioli ribelli. Non aveva mai mangiato molto, tuttavia risplendeva di salute.
Tonino la guardava da sempre. Abitava di fronte e spesso le aveva chiesto di diventare la sua ragazza. Ma lei sognava ben altro che un povero operaio.
Fu così che un giorno il ragazzo, avendo ricevuto l’ennesimo rifiuto, la violentò.
Era andato a trovarla mentre era sola in casa.
“Un momento!” aveva gridato Elena, quando lui aveva suonato. C’era molto caldo ed era mezzo svestita.
Si era ricomposta in tutta fretta, ed aveva aperto.
Lui si era avvicinato richiudendo la porta, e di nuovo l’aveva pregata di volerlo accettare.
Gli aveva rivolto un rifiuto secco e perentorio.
Aveva dovuto lentamente indietreggiare ed era rimasta schiacciata contro il muro.
Dalla scollatura del vestito s’intravedevano i seni. Le gambe tornite erano disegnate dalla stoffa sottile.
Aveva intuito il pericolo e aveva urlato.
”Che cosa vuoi! Vattene!”
Si era divincolata, aveva cercato di urlare, ma tutto era stato inutile.
Rimase immobile, dopo, senza potersi muovere, con i vestiti arruffati e senza più capacità di connettere.
Aveva saputo, da quel momento, cosa volesse dire essere posseduta da un uomo e ne aveva conosciuto tutta la brutalità.
Non si era confidata con nessuno. La vergogna ed il dolore erano troppo forti.
Pensava che avrebbe potuto togliersi la vita. In fondo, nessuno l’avrebbe pianta molto.
Di tutto ciò, nella sua famiglia, non si seppe mai nulla e la vita continuò a scorrere monotona, triste e grigia.
Poi compì sedici anni.
L’unica novità fu un malore di suo padre, che, un giorno, tornò all’improvviso dal lavoro trasportato da alcuni uomini. Il medico affermò che doveva stare a riposo perché aveva il cuore mal ridotto.  
Invece lui riprese subito a lavorare. Così di lì a poco, lo riportarono in fin di vita. Non ci fu niente da fare. Morì entro due giorni. E il suo cadavere fu posto nel soggiorno, già tutto vestito, dentro la cassa funebre.
Povera Elena! Proprio sfortunata! In fondo voleva bene a quel padre sempre assente, ma che si era massacrato, nella vita, per la famiglia.
Don Mario venne a dargli l’estrema unzione e rimase tutta la notte, solo con Elena, a vegliare la salma. Era un sacerdote giovanissimo, alle prime armi, alto e magro, bello, con gli occhi vellutati e con una leggera barba scura sulle guance. Lo conosceva ormai da più di un anno ed era l’unico uomo che le fosse mai veramente piaciuto.
Aveva denti forti e bianchi che davano al suo sorriso una bellezza virile. Quando lo aveva visto la prima volta, n’era rimasta affascinata. Adesso, tutte le volte che lo vedeva, il cuore le balzava in petto.
I fratelli, quella notte, si erano dovuti necessariamente assentare per lavoro, ma sarebbero ritornati l’indomani per il funerale.
Durante la veglia, i due tacevano, pregando mentalmente e guardandosi ogni tanto di nascosto. Avevano l’aria stanca ed affranta di chi deve stare tante ore davanti ad un morto.
Don Mario si passò una mano sulla fronte.
 ”E’ la vita! Bisogna accettare la volontà di Dio.”
Elena sospirò e chinò la testa.
I vetri delle finestre erano aperti, ma le persiane invece chiuse.
C’era poca luce, prodotta da una piccola lampada. 
Nella stanza, si udì lo scricchiolio di un mobile.
Elena, impressionata, si alzò di scatto.
“Non fare così, ” disse lui.  “Vieni, siediti qui, accanto a me.”
La ragazza lo ascoltò, ma ben presto si avvide che dovevano stare troppo vicini. Si sarebbe voluta alzare poiché il sedile era molto stretto. I gomiti si toccavano, le gambe si sfioravano, il turbamento era profondo, l’anima piena d’angoscia, quel contatto le produceva un vago senso di preoccupazione.
Ciò nonostante restava seduta e non sapeva nemmeno lei il perché.
L’attrazione era troppo forte per il giovane sacerdote. Egli aveva fatto voto di castità, ma quella promessa gli era pesata sempre moltissimo.
Tra l’altro, Elena era tra le più belle ragazze del paese e Don Mario l’aveva sempre guardata con  mal celata ammirazione.
C’era la castità da rispettare e questo pensiero si faceva ogni giorno più tremendo, più angosciante, più opprimente. La sofferenza per quel voto aumentava, la monotonia della vita sacerdotale si faceva insopportabile.
Lei si era ritratta su se stessa. Le ore trascorrevano lunghe ed interminabili. Aveva reclinato il capo ed era stata colta dal sonno.
Poi d’improvviso, la sua testa si era ripiegata inavvertitamente sulla spalla di lui.
“Sei stanca?” aveva chiesto Don Mario.
“No, no, ” aveva detto la ragazza raddrizzandosi d’un balzo.
Ma nel silenzio, di nuovo il sonno l’aveva afferrata e nuovamente il suo capo era finito sull’omero dell’uomo di chiesa.
Il sonno della giovinezza è difficile da controllare.
I capelli le ricadevano sul collo, dalla bocca il respiro usciva regolare, facendo innalzare i seni.
Com’era bella Elena! La forma delle gambe era ben visibile sotto la gonna leggera.
Stava sognando di lui, di quel bel sacerdote che le sedeva accanto.
Egli rimase immobile, frenava il respiro per paura di svegliarla. Avvertiva il battito del cuore e delle tempie.
Dopo un po’, la ragazza si destò, portò le mani agli occhi e si riscosse vergognosa.
“Il sonno è più forte di me, ” disse.
Già, ” rispose l’altro.
Continuavano a sedere accanto con i corpi che si toccavano.
Cercavano entrambi di non pensare e intanto una sorta d’ebbrezza li travolgeva, loro malgrado.
Il sacerdote sapeva che si sarebbe dovuto alzare ed invece restava lì, immobile.
Rimanevano zitti, non si muovevano, stavano là con gli occhi fissi ed il cuore in tumulto.
Improvvisamente un soffio di vento caldo, afoso, entrò dalle persiane nella stanza, facendoli illanguidire.
Allora, nello stesso momento, si guardarono trasognati e l’uno fu nelle braccia dell’altra, si strinsero, ad occhi chiusi presero ad accarezzarsi e rotolarono sul pavimento.
Don Mario conobbe quaggiù il paradiso e l’inferno.
Elena, per la prima volta, assaporava la voluttà di un amplesso desiderato.
Quando le prime luci dell’alba li sorpresero, in fretta si rivestirono e, continuando a tacere, lui scappò via. Pareva inseguito dai fantasmi, allucinato, inebetito.
Non lo rivide più neppure al funerale. Cominciò a pensare e a convincersi di avere sognato tutto.
E se la volta precedente la vita era ricominciata grigia e triste, questa volta lo sconforto la prendeva ogni giorno di più.
Dipendeva in tutto e per tutto dai suoi fratelli, dalla loro carità e dalla loro volontà. Essi spesso la esortavano a cercarsi un marito, ma questa era l’unica cosa che Elena non voleva fare.
Trascorsero così altri due anni.
Poi un giorno, su una rivista di fotoromanzi, che ogni tanto una vicina le prestava, lesse di un concorso a premi che prevedeva un viaggio in America.
Facendosi dare i soldi per la lettera di partecipazione, la inviò.
In seguito, ebbe la sorpresa, inaspettata e insperata, di scoprire che aveva vinto quel concorso. Poteva partire, le avrebbero pagato il viaggio ed il soggiorno. Nella sua mente, l’idea era chiara: sarebbe partita e non sarebbe mai più tornata.
Aveva sempre sognato di visitare New York. Ora l’avrebbe fatto, sarebbe andata in quella città di cui tanto aveva visto e sentito parlare in televisione. Avrebbe lasciato un biglietto per spiegare la sua decisione ai fratelli, avrebbe raccolto i suoi pochi e miseri averi e sarebbe andata via per sempre.
Avrebbe trasformato quella sorpresa nell’occasione della sua vita.