Evangelina Gemma Alciati

(1883/1959)

pittrice

Profilo di Evangelina Gemma Alciati dell'amica scrittrice Carola Prosperi



Conobbi Evangelina Alciati alla scuola femminile Domenico  Berti, dove si studiava per diventare maestre. Fu certo nella seconda classe complementare che ci scoprimmo l'una all'altra, ragazzine di tredici anni. Entrambe facevamo piuttosto spicco sulle altre, io per il componimento italiano, e lei per il disegno. Era piccola di statura e graziosa, ma non fragile, sebbene avesse mani e piedi piccolissimi. C'era una certa consistenza nella sua figura,in quel suo atteggiamento sempre eretto, quel portar la testa alta, e quel suo passo risoluto, da piccolo soldato. Aveva i capelli fini come seta, di un castano bruno, molto lisci, e una ciocca le cadeva sempre sulla fronte. Il suo viso era piccolo e bianco, tutto a brevi curve delicate e fattezze fini. Gli occhi non grandi avevano uno sguardo fisso, penetrante, insistente, che talvolta metteva a disagio chi era osservato. E la sua voce sembrava sforzarsi di essere energica, ma aveva dentro un leggero tremito che conservò per tutta la vita. Portava la gonna e la camicetta come tutte noi, ma metteva spesso sotto il colletto la cravatta alla Vallière, come portavano allora gli allievi pittori, quelli che chiamavano bohemien. E quella cravatta, la ciocca sulla fronte e quella sua minuscola mano dal pollice un po' ricurvo che vedo ancora tenere fermo il foglio sulla tavoletta del disegno, dava a noi tutte l'impressione che fosse un essere a parte, un artista. Discuteva animatamente su tutto, era vivacissima nelle sue osservazioni, polemizzava senza paura, perciò aveva la fama di essere spregiudicata e ardita. La verità era che, pur così giovane, bambina ancora, aveva fatto e faceva dure esperienze. Suo padre, giovanissimo, era morto prematuramente e sua madre aveva dovuto industriarsi per tirare su le due figliuole e si era messa ad affittare camere e a tenere pensione. Vedo ancora quel grande alloggio a un quarto piano, le cui camere davano tutte sul cortile, quel lungo balcone con pochi vasi di fiori, il corridoio dove passava sempre qualcuno. Era tutta gente modesta, piccole o vecchie attrici di nessun valore, mediocri ballerine o povere canzonettiste come usavano allora, gente di passaggio: e tutti potevan servire da ottimi modelli di osservazione per chi aveva, come lei, fin d'allora, un'acutezza di osservazione eccezionale.
Finite le complementari, quando incominciammo la prima classe Normale, l'Alciati non era più fra noi. Sapevamo che era andata all'Accademia di Belle Arti, a studiare sotto il celebre pittore Giacomo Grosso e nessuna di noi si stupì poiché sapevamo bene che era un'artista e che non avrebbe mai potuto studiare da maestra.La rividi tre anni dopo, incontrandola per via, finiti gli esami di patente. E lei, saputo che mi era stato assegnato il premio annuale che si dava alla migliore allieva in lettere, mi domandò impetuosamente se non pensavo di fare la scrittrice. Era il mio sogno, ma invece non osavo confessarlo, più timida di lei che manifestava senza paura le sue mire artistiche. Aveva fatto molti progressi e cominciava a essere conosciuta. Erano i più begli anni della sua vita in cui il suo virile ingegno si rivelava e le avrebbe permesso di figurare con le sue opere migliori nella nostra civica Pinacoteca.
Andò a Roma a lavorare di lena e per un poco non seppi più nulla di lei; quando tornò era, si può dire, celebre.
Evangelina Alciati dovette sopportare nella vita il più doloroso colpo che a un cuore di donna possa toccare: suo figlio, Gabriele Boccalatte, che manifestava ingegno e gusto, perì tragicamente vittima della sua passione per la montagna. Era un rocciatore celebre e amato da tutti gli alpinisti. E così giovane ancora, appena sposato e padre di un tenero bambino. Ella cercò conforto nell'arte, nel lavoro, nei libri. Leggeva molto, quando eravamo insieme parlavamo sempre di libri, poiché ella s'intendeva più di letteratura di quanto io m'intendessi di pittura, e i suoi giudizi erano sempre acuti, precisi, intelligenti. Amava infinitamente la natura, il paesaggio; penso che negli ultimi tempi abbia sostato molto alla vetrata del suo grande studio, da cui si vedeva il Po, la collina e tanto cielo... Mirabili immagini, da cui dovette essere ben doloroso per lei staccarsi nell'ultimo addio.
 

Carola Prosperi