dal libro "Donna non sol ma torna musa all'arte"

di Francesca Santucci

 

Beatrice contessa di Dia

(secolo XII)

 

                         

BEATRICE CONTESSA DI DIA

(secolo XII)

 

La letteratura provenzale, o “trobadorica”, ebbe origine nel Sud della Francia, da Bordeaux alle Alpi; affidata in origine al canto, con l’accompagnamento di uno strumento musicale, si sviluppò per tutto il dodicesimo secolo, e solo dopo il 1200 cominciò ad essere tramandata in antologie e raccolte manoscritte.
Abili furono i trovatori nel “trovare” le combinazioni più raffinate tra testo poetico e melodia, e le composizioni, pur se non sempre eccelse sul piano dell’ispirazione, furono anche di notevole pregio tecnico.
Oltre ai poeti più famosi, come Jaufré Raudel, Arnaut Daniel, Bertrand de Born, Marcabrun e Guillaume d’Aquitaine, i cui versi sono stati tramandati in ricchi canzonieri, si segnala anche le presenza di alcune trovatrici provenzali, le “trobairitz“, la cui produzione ci è arrivata esigua, ben solo 25 brani, fra tutte spicca la figura della Contessa di Dia, con 5 componimenti, che si distinguono per l'eleganza del suo trobar leu.1
Vissuta nella seconda metà del XII secolo, della contessa Beatrice di Dia, probabilmente la più alta tra le voci femminili della scuola trobadorica, scarsi sono, purtroppo, i dati biografici tramandati dalla sua “Vida“, e dunque è impossibile identificarne con chiarezza la vera identità; tra le varie ipotesi le più accreditate la indicano ora come sposa di Guglielmo II di Poitiers (tra il 1163 ed il 1189), avente feudi nei dintorni di “Die“, ora anche come Isoarda, moglie di Raimon d'Agout e figlia di un conte “di Dia“ (tra il 1184 ed il 1214).
Tra le due ipotesi probabilmente la più certa è la prima, giacché, accettando la seconda, non si chiarirebbe facilmente il forte legame con il troubadours Raimbaut d'Aurenga, ma anche in questo caso sorgono dei dubbi, perché potrebbe trattarsi anche di un omonimo, e non proprio del noto trobadours morto non ancora trentenne, nel 1173. Nei versi di Beatrice di Dia alla nobiltà d’origine corrispose un linguaggio spregiudicato, poiché l’amore di cui parlò non fu né l’amore coniugale né l’amore finalizzato al matrimonio, e fu espresso non il sentimento ideale, ma quello del desiderio, in una schiettezza e fierezza che non sminuì la regalità del rango elevato che occupava, e ciò è ben testimoniato nel componimento En grand pena lo còr me dol (“Il cuore mi duole per un grande affanno“), in cui la donna dichiara all’uomo il suo amore.
La richiesta fatta al cavaliere è, insieme, ardita, coraggiosa e pudica, giacché l’amato è ammesso nudo alla presenza della dama ma, come attesta il verso finale della seconda strofa, invitato a rispettare il desiderio della donna ( de far tot çò que m'agrada, “di fare tutto  ciò che desidero.)
La sfrontatezza del verso iniziale è, dunque, temperata dalla tenerezza finale, anche per merito del riferimento ai candidi innamorati della famosa leggenda medievale, “Florio e Biancofiore“.2
Il mondo di Beatrice di Dia è quello dell’amor cortese, e la sua arte è legata rigorosamente ai modi, ai temi e alle convenzioni di quel mondo, e, dunque, lo scenario è il castello, anzi le mura del castello affollato da persone estranee ed ostili, mentre il pensiero e il desiderio volano verso l’amore sospirato, difficile, ostacolato, de lohn (di lontano), lontano per impedimenti reali, concreti, ma che si possono superare.
Nelle poesie ispirate alla fine del suo amore per Raimbaut d’Aurenga, trovatore egli stesso, vibra tuttavia un forte senso di autenticità, l’espressione del sentimento si libera della ricerca esasperata comune ai trovatori del tempo, e, in espressione limpida e chiara, priva di oscurità, trasmette con grande spontaneità il tenace amore, lo smarrimento, il dolore e lo stupore per l’amore perduto.

VITA

La Contessa Di Dia, fu moglie di ser Guglielmo di Poitiers, donna bella e buona E s'innamorò

 di Ser Raimbau d'Aurenga e su di lui compose molte buone canzoni.

 

DEVO CANTAR QUI  DI CIO’ CHE NON VORREI CANTARE

Devo cantar qui ciò che non vorrei cantare

poiché molto devo lagnarmi di colui di cui sono l'amica.

Io l’amo più di tutto al mondo,

ma non mi giovano presso di lui

nè grazia, nè cortesia, nè la mia bellezza, nè la mia intelligenza.

Io sono ingannata, tradita, come dovrei essere

se non avessi la minima attrattiva.

 

Una cosa mi consola: mai ebbi dei torti

verso di voi, amico, al contrario, vi amo,

più di quanto Seguis ami Valensa,

e molto mi piace vincervi in amore,

amico, poiché voi siete il migliore di tutti.

Ma voi mi trattate con arroganza nelle parole e negli atteggiamenti

mentre siete ben così amabile verso gli altri.

 

Sono sorpresa dell’arroganza del vostro cuore,

amico, ed ho ben motivo d’esserne triste.

Non è affatto giusto che un altro amore vi allontani da me,

qualunque sia l’accoglienza che vi riservi

che vi ricordi dell’inizio

del nostro amore. Dio non voglia

che finisca per colpa mia!

 

Il grande coraggio che alberga nel vostro cuore

ed il vostro grande merito sono per me causa di affanni

dato che non conosco donna, vicina o lontana,

e desiderosa d’amore, che non sia attratta da voi

ma voi, amico così di ben giudizio,

dovete ben riconoscere la più sincera.

Ricordate la nostra intesa?

 

La mia dignità e la mia nobiltà, la mia bellezza,

ed ancor più la sincerità del mio cuore, devono soccorrermi.

È per questo che vi mando, laggiù,

questa canzone, che mi servirà da messaggero.

Io voglio sapere, mio bello e dolce amico,

perché con me siete così duro ostile:

è orgoglio o indifferenza?

 

Ma voglio, messaggero, che tu gli dica,

che a molti troppo orgoglio può nuocere .

 

IL CUORE MI DUOLE PER UN GRANDE AFFANNO

 

Il cuore mi duole per un grande affanno

per un cavaliere che ho perduto,

ma voglio che ben si sappia

che l’ho amato fino alla follia.

Ora io sono tradita da lui,

ché non gli ho donato abbastanza il mio amore,

quando l’ho accontentato giorno e notte,

nel letto e tutta vestita.

 

Il mio cavaliere io vorrei

averlo una sera tra le mie braccia nude,

che certo ne sarebbe beato e felice

solo ch’io gli facessi da cuscino,

perché sono folle di lui più di quanto lo era

Florio per Biancofiore:

io gli dono il mio cuore e il mio amore,

il mio senno, i miei occhi, la mia vita.

 

Bell’amico, gentile e valoroso,

quando sarete in mio potere

e saremo distesi l’uno accanto all’altro,

a portata dei miei baci amorosi,

colma di gran gioia,

io vi considererò come mio marito

così che voi non potrete rifiutarvi

di fare solamente ciò che desidero.

(traduzioni di Francesca Santucci)

 

1) Il trobar leu o plan, il poetare leggero o piano, opposto al trobar clus o escur (poetare chiuso o oscuro).

2) Antica leggenda popolare, materia di numerosi poemi e cantari medievali (la più antica versione occidentale è il poemetto francese “ Floire et Blanchefleur”, redatto da anonimo intorno al 1160) , narra la storia di due giovani che solo dopo una serie di peripezie riescono a ricongiungersi e a sposarsi.

 

Francesca Santucci