Dal libro “Donne protagoniste”
di Francesca Santucci

Edizioni Il Foglio, maggio 2004

 

Artemisia Gentileschi

(1598-1652)

             

Caravaggio non fondò alcuna scuola, non ebbe allievi diretti, ma di così grande impatto fu la sua pittura,  che improntò la pittura del Seicento ed ebbe numerosi imitatori, in Italia e all’estero; fra i seguaci si annovera anche una donna, Artemisia Gentileschi, la cui casa l’Artista frequentò, come amico del padre, divenendo per lei fonte di stimoli artistici.
Personalità di grande incisività, professionalmente indipendente, Artemisia, figlia di Orazio Gentileschi, uomo chiuso e poco comunicativo, pittore tardo manierista, che sviluppò una personale versione dello stile del Caravaggio, fu  pittrice ricca di talento e, contrariamente al padre, dal quale imparò il mestiere, si mantenne sempre fedele alla lezione del Maestro.
Attiva a Roma, a Firenze e a Napoli,  ebbe contatti con pittori famosi come Velázquez, oltre a vari caravaggisti, e  committenti illustri, come Cosimo II de’ Medici e il re Carlo I.
Nata  a Roma l’8 luglio 1593, fin da piccola  mostrò subito straordinarie capacità pittoriche, rilevando piglio aggressivo e coraggio di rappresentare in modo personale temi usuali, per questo fu avviata agli studi.
Nel 1605, a soli dodici anni, restò orfana della madre, e dovette occuparsi dei fratelli e della gestione della casa, nell' ambiente rozzo e grossolano dei quartieri popolari di Roma, ma continuò a frequentare la bottega paterna.
A diciotto anni fu violentata da Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva (ed amico di bevute del padre),  un personaggio equivoco, già coinvolto in atti di libidine e processi per stupro, che subì otto mesi di carcere prima di essere prosciolto dall'accusa.
Artemisia si trovò coinvolta in spietate malignità, delle quali non si liberò per tutta la vita, continuando ad essere considerata una donna licenziosa,  e durante il processo, per accertare più rapidamente la verità,  fu anche sottoposta alla tortura dei cosiddetti "sibilli", piccole corde che serravano le dita.  
In seguito all'umiliazione subita, terminato il processo,  fu costretta ad  abbandonare Roma, ad accettare il matrimonio riparatore con   Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, un uomo più anziano di lei,  e a trasferirsi a Firenze, dove fu introdotta alla corte di Cosimo II; qui cominciò subito a lavorare, con passione e grande abilità tecnica,  assumendo il cognome toscano paterno dello zio pittore Aurelio Lomi.
Ben presto, però, Artemisia riuscì a liberarsi del marito e ad affrontare in modo indipendente il resto della vita.Libera e orgogliosa, cominciò a viaggiare; fu a Genova, a Roma, a Napoli, a Londra e poi nuovamente a Napoli, guadagnando bene, tanto da poter offrire una consistente dote alle sue figlie. 
Grande interprete  del caravaggismo napoletano, fedele alla lezione del maestro, di cui lo attrasse soprattutto la violenza espressiva, Artemisia contribuì a diffonderne la tecnica del chiaroscuro e del realismo, prediligendo il tema biblico di Giuditta e Oloferne, che rappresentò con cruda intensità in una serie di quadri.
Cruda, d'altronde,  era stata l' esperienza personale della violenza subita, il cui segno è ravvisabile non solo nella scelta di vita indipendente adottata, estremamente audace per una donna del Seicento, ma anche nelle figure femminili ritratte sempre come donne forti,  potenti ed orgogliose,   ed è probabile che rappresentare il tema di Giuditta fosse per lei un modo simbolico  per vendicarsi della violenza maschile subita.
Lo stile caravaggesco dei suoi lavori piacque molto ai committenti, e grande fama le conquistò soprattutto a Napoli, tanto che l’aristocrazia locale le assegnò numerosi incarichi, poi, però, la sua fama declinò, e dopo la sua morte, avvenuta a Napoli nel 1652, la pittrice cadde nell’oblio, ma nel Novecento, quando anche lo stile caravaggesco fu riscoperto, riconquistò nuova considerazione, apprezzata dal movimento delle donne per la passione e l’ardimento.

Francesca Santucci

 

 Riferimenti

Susan Vreeland, La passione di Artemisia, Neri Pozza, 2002.

Alexandra Lapierre, Artemisia, Mondadori, Milano,  2000.

L. F. Pusch- S. Gretter, Un mondo di donne, Pratiche editrici, Milano,  2003.