Angela Diana Di Francesca

 

Donne e scrittura

 (estratto dal saggio)

 

Così si esprime Antonia Pozzi: “Oh le parole prigioniere/ che battono furiosamente/alle porte dell’anima”. La parola è un’esigenza insopprimibile. Essa apre le porte dell’anima, è viaggio di amore e conoscenza , di noi e del nostro rapporto con noi stessi e con l’Altro. Eppure la parola, fatto usuale e normale per gli uomini, per la donna è conquista relativamente recente. La donna da una parte ha un rapporto privilegiato con la parola, quello della chiacchiera, della narrazione, dell’affabulazione, ma esso si esplica su un territorio ininfluente, per così dire “nello spazio del gineceo”, mentre la parola autorevole, quella che dà accesso alla comunicazione forte e alla decisionalità, le è preclusa. La detentrice di parole che racchiudono una forma di potere, le parole delle formule, dei riti, è stata vista come pericolosa, e la medichessa, la guaritrice, è diventata speso “la strega”. Per quanto riguarda la parola “forte” la donna è stata per molto tempo confinata nello spazio tra il silenzio dell’esclusione e il grido della follia. O muta, o matta.
Le più fragili si sono piegate al silenzio. Le più ribelli, le più scomode, non catalogabili, hanno conosciuto la costrizione del chiostro, dei collegi, dei manicomi. E nemmeno in tempi tanto passati se i conventi  “Magdalene” di cui parla il film premiato quest’anno a Venezia,esistevano ancora negli anni ’60.
E tanto confermata e “logica” doveva essere, nella mentalità di allora, questa “normalità della pazzia femminile”, che proprio la dichiarazione di pazzia contraddistingue due personaggi femminili importantissimi della letteratura siciliana, Beatrice del Berretto a Sonagli di Pirandello,e Assunta dell’Onorevole di Sciascia - entrambe donne che hanno cercato l’autenticità dando voce al disagio e scardinando l’ordine esistente, entrambe donne che hanno dovuto “entrare” nella pazzia perché quell’ordine fosse ricostituito.
E se la parola è già conquista, la scrittura, che “conferma” la parola e le dà durata e memoria, è la più forte e trasgressiva delle conquiste. La scrittura ha una straordinaria valenza simbolica: è il potere degli iniziati, dei sacerdoti, degli scribi, è potere non solo di espressione e comunicazione, ma di gestione dei “segni”, di interazione tra la mente e le cose, l’Io e il mondo. Questo rapporto tra silenzio e parola, tra silenzio e parola scritta, ha ricevuto forza icastica e valore di simbolo nella Marianna Ucria di Dacia Maraini.
La scrittura per la donna è identificazione, conferma del Sé come individuo e come genere.
Perciò ogni donna che matura una sua consapevolezza e riesce a darvi forma, non parla solo per sé, ma parla per tutte le donne, anche per le escluse, le dimenticate, quelle che finora non possono farlo. Come dice Anais Nin : “Non è solo la donna Anais che deve parlare, ma io devo parlare per molte donne”.
Il rapporto delle donne con la scrittura si è sempre misurato con le consuete domande.
Esiste una specificità femminile nella scrittura? Le donne scrivono in modo diverso dagli uomini? Esiste sempre a prescindere dal tema trattato  un’ottica femminile?
Non sono domande semplici. Intanto non è facile conquistare un linguaggio proprio quando si è tanto taciuto. Esprime bene questo senso di inadeguatezza  Pirandello ne La ragione degli altri, quando fa dire a Livia: “Non  sento come mia la mia voce…un tono che mi sembri giusto. Ho troppo, troppo taciuto…”.E poi, certamente esiste l’ottica  femminile, ma qual è? Forse non lo sappiamo ancora, non lo sappiamo interamente. Tanti sono i condizionamenti che si sono insediati nella memoria storica delle donne. Ce ne rendiamo conto leggendo i saggi sulla donna, della De Beauvoir, della Greer ed altre, ma anche il saggio dell’italiana  Elena Gianini Belotti  “Dalla parte delle bambine” , un testo che negli anni ’70  richiamò l’attenzione sul pesante condizionamento operato sulle bambine dalla scuola e dal contesto sociale .
Sono convinta con Coleridge che “la mente dell’artista è androgina”. Tuttavia, volendo trovare una specificità nella scrittura femminile, potremmo richiamarci alla definizione data da Marianne Moore per la poesia: “uno spazio per l’autentico”, e condividere il pensiero di Paola Mastrocola che nell’introduzione alla raccolta di poesie femminili “L’altro sguardo”, afferma: “La scrittura femminile, più di quella maschile, è costruita sulla ricerca della verità. Scrivere è riflettere su se stesse, guardare a costo di trovare il buio e l’orrore. E’ questo estremo coraggio dello sguardo”.

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-Angela  Diana Di Francesca-

 

 

 

Due giudizi  sul libro “La rosa e il labirinto”

 

“A Cefalù una professoressa mi ha dato una sua raccolta di racconti pubblicata da una tipografia locale. Ne ho sfogliato svogliatamente le prime pagine e ho finito per leggere il libro tutto d’un fiato. L’autrice, Angela Di Francesca, ha vissuto sempre in Sicilia ma culturalmente si è affidata al grande fiume della cultura europea…La sua ribellione alla realtà, la sua sensibilità approfondita e calda contrastano col ricordo che ho del suo aspetto di donna timida, perfino sottomessa. Peccato che gli editori siano chiusi in circoli perversi che non consentono loro di prestare avventurosa emozione a opere che al richiamo mondano sostituiscono quello dello spirito”.( TURI VASILE,Il Giornale, aprile 1996).

 

“Tra i tanti libri che si autonarrano, questo di Angela Di Francesca  “La rosa e il labirinto” ha il pregio dell’essenzialità e di una scrittura poeticamente sinuosa che lascia intendere una certa consapevolezza del laboratorio e della lima. Un fatto straordinario se si pensa che l’autrice è del tutto ignota e che il suo autonarrarsi sembrerebbe muovere da memorie sessantottesche epurate dalla retorica di rito che quella data richiama.I venti brevi racconti intrigano il lettore e sanno suggerire e far rivivere uno spaccato di realtà vivo nella coscienza dei giovani di ieri che non sanno assuefarsi alla delusione e continuano, tra trasgressione e utopia, a dialogare col mondo e a cercare le regioni del suo scadimento. …L’anima e la cultura dell’autrice rimandano ad una scrittrice di razza che sa trovare ritmo e misura a tratti ineccepibili”.(PIERO LONGO, agosto 1992, Giornale di Sicilia)